Abiti usati e non profit: "Due posti di lavoro ogni 80 cassonetti. Ma servono regole certe"
ROMA - Il riuso è una grande opportunità per il reinserimento sociale dei soggetti svantaggiati attraverso il lavoro in imprese no-profit ma oggi c’è rischio di incappare in procedimenti giudiziari a causa di regole poco chiare. E’ quanto hanno affermato alcuni rappresentanti di enti no profit intervenuti alla conferenza “Vestiti usati: dalla beneficenza al riuso e riciclo” tenuta questa mattina nella biblioteca del Senato a Roma.
“Dal 1998, abbiamo gestito nella diocesi di Milano una quantità di abiti da riempire lo stadio di San Siro fino a terzo anello e questo ha portato 2 milioni e 300mila euro a progetti solidarietà, mentre 1 milione e 200mila euro sono stati reinvestiti sul territorio con i progetti di Caritas ambrosiana”, ha affermato Carmine Guanci, della rete Riuse (Raccolta Indumenti Sociale e Etica) che riunisce cooperative sociali legate a Caritas Ambrosiana attive nella raccolta di abiti usati. Guanci ha sottolineato come questa attività frutti, in termini di lavoro delle cooperative della rete, 2 occupati ogni 80 cassonetti, (1 "normodotato" 1 persona con disabilità) più 70 posti di lavoro nell’attività per il riutilizzo. “Si tratta di posti con le tutele del contratto collettivo nazionale di lavoro”, ha sottolineato. Oltre al lavoro c’è la solidarietà: “Abbiamo investito oltre 100mila euro in una struttura per famiglie per ospitare i profughi siriani nel Comune Milano – ha aggiunto Guanci – e possiamo calcolare in un milione e mezzo la stima annua del risparmio da produzione nuovi capi abbigliamento”.
In riferimento alle indagini che hanno coinvolto alcune cooperative attive nel settore, Guanci ha affermato: “Si tratta diun pezzo del nostro mondo”. Sottolineando però che, a facilitare violazioni involontarie di leggi è stata la mancanza di chiarezza della normativa di riferimento. “Se manca un registro degli impianti di lavorazione certificati non posso sapere se quello con cui ho rapporti io l'anno scorso ha perso la certificazione”.
Una richiesta rivolta a “chiudere le falle della normativa” è stata fatta anche da Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente: “E’ necessaria un’operazione chiarezza e trasparenza – ha detto - come in tutti i settori produttivi fa più notizia il criminale beccato che non rispetta la legge, che i tanti che svolgono legalmente il proprio lavoro”. “Come le nuove norme sugli eco reati illuminano in modo più efficace le illegalità ambientali, serve una normativa chiara che garantisca subito una sana concorrenza degli operatori della raccolta dei vestiti usati”.