Abiti usati, le cooperative si dotano di un codice etico
MILANO - Rispetto delle leggi, creazione di posti di lavoro per persone svantaggiate, trasparenza sui ricavi e sostegno a progetti sociali nel territorio della Diocesi di Milano. Sono questi i punti essenziali del codice etico di auto-regolamentazione delle cooperative sociali incaricate della raccolta di indumenti usati dai 1.400 cassonetti di Caritas Ambrosiana. Nel 2014 hanno recuperato 8mila tonnellate di abiti e con i ricavi della loro vendita o riciclaggio hanno finanziato progetti sociali per 317mila euro. "I cittadini trovano in strada molti cassonetti, ma non sono tutti uguali -spiega Carmine Guanci, coordinatore della rete Riuse (Raccolta indumenti usati solidale ed etica), alla quale aderiscono le cooperative che hanno sottoscritto il codice di auto-regolamentazione-. Per questo noi promuoviamo il codice etico e abbiamo lanciato una campagna di comunicazione '+ trasparente'".
In media in Italia vengono raccolte 110mila tonnellate di abiti usati. Nel settore, in espansione e con un giro di affari milionario, si sono inserite aziende senza scrupoli e la criminalità organizzata. Tanto che il Conau (Consorzio nazionale abiti e accessori usati) stima che ci siano in giro almeno 4mila cassonetti abusivi, ossia senza le necessarie autorizzazioni comunali. "Fin da quando abbiamo iniziato con la raccolta nel 1998 abbiamo puntato sulla trasparenza e il rispetto delle regole", ricorda Carmine Ganci. E il codice etico di autoregolamentazione prevede che le cooperative che fanno la raccolta per i cassonetti della Caritas Ambrosiana si impegnano a devolvere i ricavi a progetti sociali sul territorio della Diocesi individuati dalla Caritas stessa, a comunicare periodicamente le risorse che hanno destinato e ad assumere due persone ogni 80 nuovi cassonetti autorizzati. "Gli abiti raccolti sono venduti a partner commerciali che hanno sottoscritto a loro volta contratti e protocolli etici", aggiunge Carmine Ganci. Queste aziende si occupano della selezione (che può avvenire in Italia o all'estero) gli indumenti ancora in buono stato e destinati alla vendita e quelli da avviare al riciclaggio come filato.
Nei prossimi mesi potrebbero esserci importanti novità nel settore. Le realtà non profit italiane ed europee che si occupano di indumenti usati vogliono gestire, attraverso le proprie cooperative sociali, tutta la filiera: dalla raccolta fino alla vendita sui mercati africani, in modo tale da poter dare garanzie di eticità e trasparenza a tutti i passaggi. Riuscirebbero così a sganciarsi dalle aziende che finora hanno controllato il mercato, sulle quali è sempre difficile poter eseguire controlli sul rispetto delle regole. "Creeremo una rete europea per raggiungere una quantità di raccolta sufficiente a rendere sostenibile il progetto dal punto di vista economico -aggiunge Carmine Ganci-. E in Kenya, tramite la Caritas nazionale, nascerà un'impresa sociale che darà lavoro a donne e famiglie in difficoltà, sia nella fase di lavorazione degli indumenti sia nella vendita sui mercati locali".
Dal 1998 ad oggi Caritas Ambrosiana e le cooperative collegate hanno raccolto 100mila tonnellate, quanto basta a riempire lo stadio di San Siro e il Duomo di Milano). Ne hanno ricavato 2,1 milioni di euro per oltre cento progetti sociali, dato lavoro a 51 persone di cui 41 ex disoccupati, soggetti deboli o svantaggiati. "Nella Laudato sì Papa Francesco ci invita a reagire allo scandalo delle cultura dello scarto -commenta don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana-. Questa iniziativa, purché avvenga nella trasparenza e secondo regole certe, è una testimonianza molto concreta di come i nostri stili di vita possano incidere e trasformare veramente ciò di cui sbrigativamente classifichiamo come rifiuto in una risorsa a vantaggio della collettività". (dp)