Abusi, violenze, rimpatri forzati. Ecco cosa succede ai siriani in Libano
Il campo profughi di Tel Abbas, al confine tra Libano e Siria
ROMA - "Sono venuti in casa mia alle 6 del mattino per arrestarmi. Io non posso camminare, perché sono stato ferito da una scheggia durante la guerra. Ma i funzionari dell'esercito libanese continuavano a dirmi di alzarmi e camminare anche se sapevano che non potevo. Poi mi hanno portato in una prigione dove mi hanno tenuto per 36 ore in una stanza angusta con altri 40 uomini. Ho un catetere a causa delle mie ferite e ho bisogno di farmaci costanti. Quando mia moglie è venuta in prigione per portarmi le mie medicine, le hanno proibito di vedermi e di darmi i farmaci. Quando ho chiesto di svuotare il mio catetere, uno dei soldati ha tirato fuori il tubo per versare il contenuto del catetere su di me. Il giorno dopo, i soldati si sono resi conto che mi avevano confuso per qualcun altro e così mi hanno lasciato tornare a casa".
A parlare è un ragazzo di 32 anni, profugo siriano, padre di tre bambini che vive nel nord del Libano al confine con la sua terra d’origine. La testimonianza è stata raccolta dai volontari di Operazione Colomba, i corpi civili di pace dell’associazione Papa Giovanni XXIII, che oggi alla Camera hanno presentato un dossier Libano/Siria sulla violazione del principio di non refoulement (non respingimento) e il peggioramento delle condizione dei profughi siriani. I volontari del progetto dal 2014 vivono al fianco delle famiglie in un campo profughi nel nord del Libano, come raccontato di recente da un reportage di Redattore Sociale. “La situazione non è mai stata così drammatica, con le famiglie intrappolate tra la paura dell'arresto e la leva militare obbligatoria se tornano in Siria, l'impossibilità di sopravvivere in Libano e i rischi delle pericolose rotte migratorie via mare verso l'Europa” denunciano.
Deportazioni forzate e violazioni dei diritti
Obiettivo del dossier è portare all’attenzione della comunità internazionale il preoccupante intensificarsi, da parte del governo libanese, di strategie volte a far tornare i profughi in Siria. Secondo Operazione Colomba, questo atteggiamento si fonda “sul presupposto non provato che la Siria sia ora un paese sicuro in cui tornare - si legge nel documento -. Le azioni dell'Esercito libanese e delle Forze di Sicurezza Interna contro i siriani in Libano hanno incluso un aumento esponenziale delle deportazioni forzate, la distruzione di case e campi profughi informali siriani, sfratti di massa, l’inasprimento delle misure contro i lavoratori non autorizzati e le imprese di proprietà siriana, così come la limitazione della possibilità per i bambini siriani di ottenere un permesso di soggiorno legato alla residenza legale dei genitori tramite uno sponsor libanese”.
Tutte azioni che violano i diritti umani, in particolare il principio di non refoulement sancito dall'articolo 3 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, di cui il Libano è firmatario. Il dossier ricorda che il 15 aprile 2019 il Consiglio Supremo di Difesa libanese ha autorizzato una serie di decisioni che hanno portato a una crescente pressione sui profughi affinché tornino in Siria, peggiorando le condizioni di sicurezza e di protezione delle persone, le cui vite verrebbero così messe a rischio. Il 26 aprile 2019, 16 siriani provenienti dalla Turchia e da Cipro sono stati arrestati dopo essere atterrati all'aeroporto Rafiq Hariri di Beirut, denuncia Operazione Colomba. Secondo gli osservatori internazionali, le 16 persone sono state costrette a firmare dei documenti di ‘rimpatrio volontario’ prima di essere deportati in Siria. Il 13 maggio, inoltre, l'Ufficio di Sicurezza Generale libanese ha emesso l’ordine di espellere e consegnare alle autorità siriane tutti i profughi che avevano attraversato irregolarmente il confine dopo il 24 aprile 2019. Secondo l'Agenzia Nazionale di Stampa libanese, solo nel mese di maggio, 301 cittadini siriani sono stati rimpatriati senza ulteriori chiarimenti: 197 dei quali da parte delle Forze Armate Libanesi (Laf), 100 dalla Sicurezza Interna (Isf) e quattro dall'Ufficio di Sicurezza Generale (Gso). Secondo altre fonti circa 400 cittadini siriani sono stati espulsi dal Libano tra maggio e giugno 2019. Una volta deportati in Siria, la comunicazione si interrompe e poco si sa di ciò che accade loro - denuncia il rapporto- nonostante diverse organizzazioni internazionali tra cui l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), Human Rights Watch, il Ministero degli Esteri tedesco abbiamo denunciato il rischio sicurezza per chi torna ( potrebbero essere arruolati forzatamente nell'esercito, arrestati, torturati o uccisi). Ai rimpatri si aggiungono le denunce di torture nelle carceri libanesi e il recente piano di smantellamento dei campi profughi informali, che da aprile ha portato alla demolizione di circa 5.68228 strutture semi-permanenti che ospitavano profughi siriani, sulla base di un codice abitativo esistente da tempo ma in gran parte non applicato. “Più della metà di queste strutture sono state smantellate dagli stessi profughi siriani - si legge nel dossier -. L'esercito libanese ha comunicato una data entro la quale i profughi avrebbero dovuto smantellare i loro stessi campi e sostituire le strutture in cemento con materiali meno durevoli come tela e legname, previa la minaccia che se si fossero rifiutati, le loro abitazioni sarebbero state demolite dall’esercito libanese”. Il 1 luglio 2019, era la data fissata per demolire le case che i profughi siriani non avevano già smantellato, circa 3600 famiglie hanno ricevuto ordini di demolizione nel solo comune di Arsal. Il sindaco della città ha dichiarato che l'ordine di demolizione era una decisione politica e non aveva nulla a che fare con le norme abitative. Save the Children, World Vision e Terre des hommes Foundation hanno comunicato che tale azione potrebbe portare più di 5.000 famiglie e 15.000 bambini a rimanere senza una casa
Le richieste all'Italia e alla comunità internazionale
Considerando la gravità della situazione, Operazione Colomba esorta il Governo italiano, l'Unione Europea e le Nazioni Unite, nonché singoli membri dell'assemblea, a farsi garanti perché il governo libanese agisca in conformità con il diritto internazionale e rispetti il principio di non-refoulement sancito dall'Articolo 3 della Convenzione contro la tortura, di cui il Libano è firmatario. Si chiede inoltre al governo di Beirut di fornire aiuti umanitari, nonché assistenza legale e medica, ai profughi siriani in Libano. E di condannare la normalizzazione e la riabilitazione da parte dei Paesi Europei delle relazioni internazionali con il governo siriano, fino a quando non verrà raggiunta una soluzione politica. Inoltre da tempo Operazione Colomba ha lanciato la proposta di Pace nata da alcuni profughi siriani in Libano. Questa proposta prevede innanzitutto “la creazione di zone umanitarie in Siria, ovvero di territori che scelgono la neutralità rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale, in cui non abbiano accesso attori armati, sul modello, ad esempio, della Comunità di Pace di San José di Apartadò in Colombia. Questa soluzione, secondo gli operatori umanitari, permetterebbe un rientro in sicurezza di molti profughi e consentirebbe il monitoraggio e il rispetto dei diritti umani.