Accoglienza migranti, è ora di "voltare pagina": la solitudine degli operatori sociali
- Si avvicina l’estate e l’accoglienza dei profughi nel nostro Paese, si sta facendo - se possibile - più caotica e paradossale che mai. Come se l’emergenza fosse una categoria mentale, entrata a forza nei nostri cervelli, prima ancora di essere una realtà dei fatti. Prefetti che ti promettono mari e monti pur di ottenere la disponibilità di una tua struttura d’accoglienza e poi ti lasciano senza la minima tutela appena un amministratore locale ti mette i bastoni fra le ruote, profughi ai quali viene riconosciuta una protezione giuridica e subito dopo vengono messi fuori dai centri di accoglienza straordinaria (Cas), senza una prospettiva di lavoro e casa; sindaci a cui vengono imposte, da un giorno all’altro, tendopoli da trecento ospiti. Sovraffollamento dei Cas (promossi dalle Prefetture) e, contestualmente, posti vuoti nel Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), gestito dal Ministero degli Interni; esclusioni dai Cas appena un ospite ottiene un lavoretto retribuito con voucher occasionali, sui quali, si sa, è impossibile fare affidamento per un vero percorso di autonomia e inserimento sociale. Gare prefettizie - i cui criteri variano sensibilmente da provincia a provincia - a cui partecipano improbabili organizzazioni che fanno carte false pur di offrire centinaia di posti di accoglienza; prefetture che non riescono minimante a verificare e a controllare l’andamento reale delle accoglienze sul territorio e l’osservanza degli standard di qualità promessi da chi gestisce i centri.
L’unico filo rosso di tutto questo vorticoso e paradossale agitarsi è ottenere al più presto posti di accoglienza per far fronte ai nuovi arrivi: tanti posti e subito. Poco importa, alla fin dei conti, della qualità dell’accoglienza stessa e, soprattutto, delle prospettive di reale integrazione che si riescono a generare a valle della pronta accoglienza, denominata, non a caso, “straordinaria”.
Toccare direttamente con mano, da operatori sociali, tutti questi aspetti contraddittori fa male; ferisce, da un lato, sentirsi un piccolo ingranaggio di una catena di montaggio che produce scarsa effettiva integrazione; addolora, poi, accertare quanto poco Stato, nel senso di Istituzione autorevole, affidabile e credibile, ci sia in tutto questo processo.
Ma quando si crea un vuoto, c’è sempre qualcuno o qualcosa che si palesa per riempirlo. E infatti dal basso, dalla cooperazione più sana e consapevole, è nata la “Carta della buona accoglienza dei migranti”: la Carta è un documento che individua gli standard qualitativi che dovrebbe avere una accoglienza degna di questo nome, ma si sostanzia anche in impegni precisi da sottoscrivere e in processi di auto-controllo e auto-regolazione attuati dalle centrali cooperative. Alla base della Carta, un patto di diritti e doveri tra migrante e il nostro Paese e la volontà di instaurare un circuito virtuoso tra diritti da tutelare e utilità sociali da condividere. Concepita in Lombardia, la Carta è diventata pochi giorni fa un documento e un impegno nazionale, siglato dall’Alleanza delle Cooperative, insieme all’Anci e al Ministero dell’Interno. L’obiettivo primario di tutti i soggetti è ora quello di passare dai centri collettivi a percorsi di accoglienza in abitazione, sul modello dello Sprar. Con standard di qualità, servizi adeguati, personale socio educativo qualificato e collaborazione e coinvolgimento dei territori che accolgono i migranti, con un lavoro congiunto di Comuni e Prefetture.
In due parole, voltare pagina.