Accordo Italia-Libia, "un tappo fatto di soprusi che prima o poi salterà"
BOLOGNA – “L’Accordo Italia-Libia è un tappo fatto di soprusi che non è saggio, non è moralmente accettabile e prima o poi salterà”. Lo ha detto Alessandro Fiorini, presidente dell’Associazione Asilo in Europa e tutor del Progetto Sprar per la Regione Emilia-Romagna, nel suo intervento al seminario “Politiche europee e nazionali sull’asilo. Due anni dopo l’Agenda Ue sulla migrazione” che si è tenuto in Regione.
L’Accordo tra i due Paesi è del febbraio di quest’anno e l’obiettivo è: arginare i flussi migratori illegali. I risultati ci sono: in due mesi, dal 30 giugno a settembre, gli sbarchi sulle nostre coste sono passati da un +18% rispetto al 2016 a un meno 21,6% (80 mila persone a fine giugno, 102 mila al 20 settembre).
Nello stesso periodo, la guardia costiera libica ha fermato in mare 13.500 persone. “La rotta, infatti, non è chiusa. Solo più controllata”, spiega Fiorini. Ma dove finiscono queste persone? “Nei centri di detenzione libici, in condizioni disumane e per un tempo indefinito, dove stupri, violenze e torture sono all’ordine del giorno – prosegue – Gli sbarchi, i viaggi nel deserto, le morti, non sono inevitabili, ma l’approccio deve essere quello dello sviluppo delle comunità di origine e transito, dei programmi di reinsediamento credibili, dei percorsi regolari. Altrimenti la situazione tornerà a peggiorare e gli arrivi ricominceranno ad aumentare, solo con viaggi più lunghi, più costosi e mortali”.
Il fallimento del Sistema europeo comune di asilo. Entrato in vigore nel luglio del 2015, il sistema contiene una serie di direttive (qualifica, procedure e accoglienza) e il Regolamento di Dublino. “In poco tempo siamo passati da poche regole sull’asilo a un sistema che vincola tutti gli Stati membri”, afferma Fiorini. Il problema è che il sistema non ha retto alla “crisi dei rifugiati” del 2015. Nel 2016 le domande di asilo sono state oltre 1,2 milioni, nel 2015 erano 1,4 milioni contro le 256 mila del 2008. “Il sistema ha fallito di fronte a un alto numero di richiedenti asilo, ma stiamo comunque parlando dello 0,25% della popolazione europea”, afferma Fiorini. Anche lo stesso Programma di relocation (redistribuzione dei richiedenti asilo) non ha avuto fortuna: l’obiettivo era ricollocare 160 mila persone in 2 anni da Grecia e Italia, ma a oggi ne sono stati redistribuiti 27 mila. Le cause? “L’eccessiva rigidità dei criteri e la mancanza di cooperazione di alcuni Stati”, spiega Fiorini. Inoltre, si sa poco di dove sono i richiedenti asilo ricollocati. “A maggio di quest’anno, ad esempio, il 42% dei richiedenti asilo ricollocati in Portogallo aveva abbandonato quel Paese per andare altrove e ci sono forti dubbi sul tasso di permanenza nelle zone periferiche – continua – Il problema è che la costruzione di un sistema di asilo europeo non ha mai considerato come far arrivare i richiedenti asilo in Europa e come aiutare i Paesi più esposti”.
La riforma del Sistema europeo comune di asilo. Nel 2016 la Commissione europea ha fatto una serie di proposte di riforma del sistema, ma da un anno sono bloccate perché gli Stati non trovano un accordo. “Quella che viene definita normalmente ‘crisi dei rifugiati’ andrebbe chiamata ‘crisi dell’Ue’ perché di questo si trattava, della crisi politica profonda causata da problemi interni all’Unione – ha detto Catherine Woollard, segretario generale di Ecre, European council on refugees and exile – Di fronte a un grande numero di rifugiati, l’Unione non sapeva cosa fare e c’è stata una rinazionalizzazione delle politiche, con il ricorso a decisioni e accordi unilaterali. Le proposte di riforma sono il tentativo di rientrare in gioco dell’Ue, il problema è che sono terribili”. Secondo Woollard, infatti, solo una era necessaria, “quella sul Regolamento di Dublino, una delle cause della crisi, ma la proposta non lo cambia molto anzi rafforza il principio del Paese di primo ingresso”. Inoltre, “nelle proposte manca totalmente il principio di solidarietà, c’è l’idea di limitare l’accesso all’Ue, si riduce il diritto di protezione, si amplifica il modello Turchia e l’approccio è punitivo – continua – Se dovessero entrare in vigore, gli effetti sull’inclusione dei rifugiati sarebbero dannosi”. Le proposte di Ecre invece prevedono: il ritorno alla solidarietà, “e la sostituzione del Regolamento di Dublino con un accordo più giusto”, vie legali e sicure di accesso, “uno dei pilastri dell’Agenda sulla migrazione”, un approcco globale alla crisi globale degli spostamenti forzati, “tenendo presente che il 90% non sono in Europa”, e l’inclusione dei rifugiati nella società. (lp)