Accordo italo-libico, Medu: "Migliaia di migranti bloccati nel lager della Libia"
Foto: Narciso Contreras/Medu
Foto: Narciso Contreras/Medu |
- ROMA – “La detenzione più dura è stata in una prigione a Gargarech, un quartiere di Tripoli. Mi hanno legato insieme le caviglie e i polsi e mi hanno tenuto così per cinque giorni. Non mi davano da mangiare e non potevo andare in bagno. Venivano e mi picchiavano. Poi mi hanno levato le corde ma non è andata meglio. Per un mese mi hanno tenuto al buio. Mi picchiavano con dei bastoni sul corpo e sotto la pianta dei piedi e tuttora non riesco a camminare senza sentire dolore. Mi torturavano con scosse elettriche. Una volta mi hanno puntato un fucile alla tempia e hanno minacciato di uccidermi. Quando mi sono messo a piangere si sono messi a ridere e mi hanno colpito con il calcio del fucile”. A parlare è M. K., 30enne del Bangladesh, e la sua è una delle 2 mila storie raccolte da Medici per i diritti umani (Medu) nei suoi progetti di riabilitazione delle vittime di tortura e negli interventi di prima assistenza per i migranti vulnerabili.
“I numeri degli sbarchi confermano un drastico calo rispetto all’anno precedente, ma si può dunque tirare un sospiro di sollievo? – si domanda il Medu – Bisogna dunque rallegrarsi dei primi risultati concreti dell’accordo italo-libico firmato lo scorso febbraio dai governi Gentiloni e Serraj con il sostegno dell’Unione europea?”. I dati del mese di luglio parlano infatti di 11.459 migranti sbarcati sulle coste italiane contro i 23.552 del luglio 2016. Una tendenza confermata dai numeri della prima settimana di agosto: 1.137 migranti, meno di un quinto della stessa settimana del 2016 quando erano sbarcati 5.902 migranti. “Il collo di bottiglia della rotta mediterranea centrale sembra chiudersi lasciando decine di migliaia, o più probabilmente centinaia di migliaia, di migranti nel territorio libico – avverte il Medu – Ma che cosa sia questo cul de sac è necessario ripeterlo ancora una volta: è la Libia di oggi ossia un lager dove si consumano nei confronti dei migranti atrocità degne dei peggiori campi di sterminio del XX secolo. Gli aguzzini di questi lager, dove viene perpetrata la tortura di massa, sono i più svariati: bande e organizzazioni criminali, milizie armate e certamente anche coloro che dovrebbero rappresentare quello Stato che ha firmato gli accordi con l’Italia, ossia poliziotti e militari”. E aggiunge: “Nel caos libico in cui l’unica cosa che sembra funzionare è l’industria dello sfruttamento dei migranti non ci sono campi o centri per i migranti, ma solo prigioni, alcune controllate dalle autorità altre da milizie e trafficanti. Lo ha detto lo stesso inviato dell’Unhcr aggiungendo che in questi luoghi ‘sussistono condizioni orribili’”.
L’85% dei migranti ha subito in Libia torture e trattamenti inumani e degradanti, il 79% è stato trattenuto/detenuto in luoghi sovraffollati e in pessime condizioni igienico-sanitarie, il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 55% ha subito percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri, ustioni, percosse alle piante dei piedi, torture da sospensione, obbligo ad assistere alla tortura e all’uccisione di altre persone. Sono i dati raccolti quest’anno dalla clinica mobile di Medici per i diritti umani che, a Roma, ha assistito più di 600 migranti da poco sbarcati in Italia e provenienti dall’Africa subsahariana. “Si tratta di dati probabilmente sottostimati perché raccolti in contesti di precarietà dove spesso non è stato possibile fornire un’assistenza prolungata nel tempo – scrive il Medu – ma rappresentano, a nostro avviso, un quadro fedele delle violenze sistematiche a cui vengono sottoposti tutti i migranti che giungono dalla Libia nel nostro Paese. Nei racconti dei testimoni le condizioni di detenzione delle carceri libiche rappresentano uno degli aspetti più raccapriccianti”.
“Eravamo tanti e nella cella non c’era spazio a terra per dormire. Le guardie portavano poco cibo e acqua disgustosa. Mi hanno picchiato col fucile e con il bastone in varie parti del corpo. Le guardie erano armate e violente e ci colpivano senza pietà. Sparavano nel mucchio e uccidevano a caso i detenuti per terrorizzarci. Ho subito violenze sessuali continue e hanno anche usato una fiamma per bruciarmi le braccia. Non c’era acqua per lavarci, il fetore era insopportabile e ricordo ancora le urla di paura e di dolore degli altri detenuti”. Questo è il racconto di I. S., 22 anni della Costa d’Avorio, raccolto nel Cara di Mineo lo scorso aprile. “Ad aprile commentando gli accordi tra Italia e Libia, sostenevamo che il governo italiano e tutta l’Ue avessero preso la direzione sbagliata – dice il Medu – Denunciavamo in particolare che l’accordo avesse come unico obiettivo quello di fare muro nel Canale di Sicilia per bloccare gli sbarchi in Italia senza preoccuparsi dei suoi effetti collaterali ossia della sorte di centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini destinati a rimanere intrappolati nell’inferno libico. Quanto sta avvenendo oggi conferma purtroppo in pieno questo tragico scenario – continua – La Libia attuale non è un luogo sicuro ma un luogo di morte. Sebbene sembri incredibile, è ancora necessario ribadirlo”.
Il Medu non contesta il diritto-dovere di uno Stato di governare i flussi migratori ma “ribadisce che ciò deve avvenire senza compromettere la salvaguardia dei diritti umani fondamentali”. In teoria, ricorda, “l’accordo prevede anche il miglioramento delle condizioni di quelli che dovrebbero essere i centri di accoglienza in territorio libico, finanziando l’acquisto di medicine, attrezzature mediche e la formazione del personale. Tale parte dell’accordo è rimasto lettera morta – conclude – Come intendono intervenire l’Italia e l’Ue affinché le proprie strategie di controllo dei flussi migratori non le rendano complici delle violenze e atrocità di massa commesse in Libia? Cosa intende fare la comunità internazionale oltre ad assistere passivamente a una tragedia che rimarrà nella storia delle migrazioni?”. (lp)