Acli Milano: “Sulle aree dismesse il Comune non ceda ai privati”
MILANO - “La Milano che ha dato spinta agli investimenti nel centro con i grattacieli si è rivelata, con questa pandemia, un modello debole di città. Ora la città deve partire dando spazio a tutti, alle giovani famiglie. Si deve punta a una città in cui tutti possono vivere bene”. Andrea Villa, presidente delle Acli milanese da pochi mesi in carica, presenta così il documento approvato dal consiglio provinciale della sua associazione in vista del voto amministrativo del prossimo autunno. Un documento che prova a “immaginare una città diversa e migliore, più a misura di persona”.
Uno dei temi cruciali della città è quello della casa. “Premetto che ci vorrebbe innanzitutto un piano nazionale dedicato alla casa -sottolinea Andrea Villa-. Però anche le città possono fare la loro parte. Nel caso di Milano il Comune deve rimanere regista nella gestione di quelle vaste aree, penso agli ex scali ferroviari- Non deve cederle ai privati, ma deve invece rivestire il ruolo di general contractor, come è stato per l'area Expo. Solo in questo modo è possibile che su queste aree si costruiscano alloggi che siano alla portata dei giovani, delle famiglie. Perché è il Comune che decide cosa farne, non i privati”.
Nel documento le Acli milanesi sono molto chiare sulla questione casa e aree dismesse. “I risultati di un’azione pubblica che lascia nelle mani dell’operatore privato la regolamentazione dei processi e dei valori dalle aree, secondo l’approccio esasperatamente liberista che ha caratterizzato diversi decenni di politiche urbanistiche milanesi, ha già ampiamente dimostrato che, quando genera benefici, li riserva per lo più alle fasce medio/alte con effetti poco o nulla positivi per il resto della popolazione e senza incidere tangibilmente sulle aree più svantaggiate delle città. È necessaria viceversa una pianificazione urbanistica che dia indirizzi e governi i processi pianificatori con una stretta collaborazione tra azione privata e indirizzo pubblico. Che metta in campo le energie e le risorse del mercato privato e affidi alle istituzioni pubbliche la funzioni di regia, di guida e di controllo”.
L'altra urgenza è quella del lavoro. “Occorre da subito un piano straordinario interistituzionale -si legge nel documento- e di concertazione sociale di politiche attive per rimettere al lavoro in pochi mesi le decine di migliaia di persone che hanno perso o perderanno l’occupazione nei settori in crisi”. Nel documento il Consiglio provinciale delle Acli auspica scelte ben precise. “Gli investimenti prioritari per far fronte al momento drammatico che stiamo vivendo sono tre: dapprima il ripensamento del rapporto tra studio e lavoro, a partire dalla formazione professionale, che coinvolga anche scuola e università. Poi la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma delle politiche attive del lavoro, con il rafforzamento degli strumenti che già ci sono come i tirocini, gli stage, l’apprendistato o le borse lavoro per i lavoratori fragili come i Neet, le donne o gli over 50. L’approccio dovrà essere quello che abbiamo visto funzionare sia nella formazione professionale dei CFP, sia nell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, caratterizzato dall’accompagnamento dei soggetti fragili e da una ampia rete di aziende, con le quali instaurare un rapporto stabile che favorisca i percorsi di inserimento lavorativo”.
Anche il tema salute e sanità va rivisto. “Abbiamo imparato nei mesi scorsi - ricordano le Acli - a misurarci con la fragilità di una città che si riteneva invincibile poiché polo nevralgico di realtà ospedaliere definite “d’eccellenza” nell’ambito della “grande” Sanità della Lombardia. Il Comune in qualità di ente locale, a causa di modifiche normative, è uscito dalla gestione e dal governo della sanità anche se l’assessorato alle Politiche sociali rimane detentore di una delega alla “Promozione e sviluppo delle politiche di prevenzione sanitaria e di cultura della salute”. Occorre – auspica l’associazione - ripristinare un ruolo centrale dell’ente locale di confronto e interlocuzione con le autorità sanitarie territoriali affinché siano poste in essere risposte concrete adeguate ai bisogni della città”.
“La pandemia è stata un dramma per tutti, ma i più deboli hanno pagato un prezzo più alto -avverte il presidente delle Acli-. Per questo va cambiato il modello di sviluppo. E dobbiamo renderci conto che il contrasto alle disuguaglianze non lo si fa per benevolenza, ma è un elemento propedeutico a uno sviluppo più armonioso e autentico della città”.