Adozioni speciali, “diamo i numeri”
In Italia sono 424 i bambini “con bisogni speciali” dichiarati adottabili, per i quali non è stata trovata una famiglia. Nel 2016 le domande di disponibilità all’adozione nazionale sono state più di 8.300, quelle relative ai cosiddetti “casi particolari” appena 768. Nei servizi residenziali i minori accolti sono 12.400 (la metà ha tra i 15 e i 17 anni), il 4,5% è disabile
Adozioni speciali, illustrazione di Francesco Valgimigli
BOLOGNA - Sono 424 in Italia i bambini “con bisogni speciali” dichiarati adottabili, per i quali non è stata trovata una famiglia. Per loro, la prospettiva è spesso quella di restare in un istituto, una casa famiglia o una residenza sanitaria. È l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (Anfaa) a fornire il dato a Laura Pasotti, giornalista di Redattore sociale e autrice dell'inchiesta sulle adozioni speciali, pubblicata su SuperAbile Inail: precisando però che "di questi bambini sappiamo ben poco, nemmeno quanti anni abbiano". Per loro è prevista una sorta di “corsia preferenziale” grazie all’articolo 44 della legge 184 del 1983 che disciplina le adozioni in casi particolari, tra cui quelle di minori con disabilità certificata, per i quali è consentita l’adozione anche da parte di coppie non sposate o single. Nonostante questo, le domande di adozione di bambini con disabilità pervenute ai Tribunali per i minorenni italiani nel 2016 (l’ultimo anno per il quale ci sono dati disponibili), sono state solamente sette. E altrettante sono state le sentenze di adozione. Emblematico il caso di Alba, la neonata con sindrome di Down rifiutata da oltre 30 famiglie e poi presa in affido e adottata da un 42enne single. "Quei rifiuti nascondono la difficoltà della società ad accogliere bambini con disabilità", dice Luca Trapanese, il papà di Alba.
Eppure le famiglie disponibili ad accogliere bambini con bisogni speciali ci sono, "ma bisogna trovarle", assicurano le mamme dell’associazione M’aMa che, dal 2007 a oggi, è riuscita a trovare una famiglia a 78 bambini considerati “incollocabili”. Non sempre però, nelle domande presentate al Tribunale, viene evidenziata la disponibilità ad accogliere un bambino con disabilità: il più delle volte funziona meglio il passaparola, o la pubblicazione di un appello da parte dello stesso Tribunale o delle associazioni. Anche perché della Banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione, prevista da una legge del 2001, ancora non c’è traccia.
Speciali, ma quanto? Nel 2016 le domande di disponibilità all’adozione nazionale sono state più di 8.300, quelle relative ai cosiddetti “casi particolari” appena 768. Tra queste ultime, la maggior parte era rappresentata dalla richiesta di adozione da parte del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio, anche adottivo, dell’altro coniuge. Solo sette richieste riguardavano minori con disabilità. Sempre nel 2016, sono stati quasi 1.200 i minori dichiarati adottabili, 902 le adozioni, di cui 579 per casi particolari e sette relative a minori con disabilità, dato che non comprende l’adozione da parte di coppie sposate (fonte: Centro europeo di studi di Nisida su dati del ministero della Giustizia).
Gli ultimi dati disponibili sui minori fuori famiglia risalgono al 2014: tra i 14mila minori in affidamento familiare, poco più del 5% ha una disabilità e il 2,6% è stato dichiarato adottabile. Nei servizi residenziali i minori accolti sono 12.400 (la metà ha tra i 15 e i 17 anni), il 4,5% è disabile, mentre gli adottabili sono meno del 2%. "Negli ultimi anni i dati sui minori con disabilità dichiarati adottabili sono in aumento", riferisce Rosa Russo, giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Firenze, "ma purtroppo dalle schede delle famiglie idonee, spesso, non si evince la disponibilità ad accoglierli. Nell’immaginario delle coppie che scelgono di adottare difficilmente c’è la diversità, con il tempo però può maturare anche l’apertura verso questo tipo di accoglienza".
La priorità è quella di far uscire il prima possibile i bambini dagli istituti e "se fra le coppie non se ne trova una, il presidente del Tribunale è aperto alla collaborazione con associazioni e reti di famiglie, previa valutazione da parte dei servizi", precisa Russo. Il Tribunale per i minorenni di Milano, invece, ricorre al proprio sito web per le situazioni più complesse riguardanti minori con bisogni speciali in stato di abbandono. "Nonostante il gran numero di dichiarazioni di disponibilità da parte delle famiglie ad adottare, per i minori con disabilità più o meno gravi, grandicelli, maltrattati o con fratelli è necessario ricorrere a ricerche lunghe e difficili, compiute da alcuni giudici onorari specializzati", spiega Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale di Milano. "L’uso del sito Internet aiuta nella ricerca di famiglie pronte ad accoglierli".
Per quanto riguarda gli “special needs” oltre confine, sempre nel 2016 le domande di disponibilità all’adozione internazionale di minori sono state 3.196, i decreti di idoneità 2.443 e le adozioni 1.584. "Il 90% dei bambini stranieri adottati ha bisogni speciali", ci fa sapere Paola Crestani, presidente del Ciai, il Centro italiano aiuti all’infanzia, uno degli enti autorizzati per le adozioni internazionali. Si tratta di minori che hanno più di sette anni, o appartengono a gruppi di fratelli, oppure hanno problemi di tipo sanitario o disabilità, secondo quanto stabilisce la Convenzione dell’Aja del 1993.
Le percentuali sono simili anche secondo Aibi. "Il panorama sta cambiando", ammette Cristina Legnani. "A parte in qualche Paese, i bambini adottabili piccoli e sani non ci sono quasi più, con la conseguenza che almeno otto bambini su dieci hanno special needs", cioè bisogni speciali. Nel 2018 il Ciai ha realizzato 35 adozioni in cinque Paesi: poche, rispetto alle oltre 130 del 2011. "Le ragioni positive dipendono dal fatto che in alcuni Paesi la situazione socio-economica è migliorata, così come la protezione dell’infanzia", spiega Crestani. "La conseguenza è che gli abbandoni sono diminuiti e sempre più bambini trovano una risposta nel proprio Paese". Una delle regole dell’adozione internazionale, infatti, è quella della “sussidiarietà”, in base alla quale prima si cerca una soluzione nello Stato di origine del bambino e solo successivamente all’esterno. Esiste però anche una ragione negativa, precisa la presidente del Ciai: "Alcuni Paesi hanno chiuso le adozioni in seguito a problemi nelle pratiche, adozioni illecite e situazioni non chiare: d’altro canto, questi stessi Paesi non riescono a far fronte agli abbandoni, che non si sono ridotti". Ne sono esempi Cambogia, Etiopia e Guatemala: "Sappiamo di bambini, anche con disabilità, che avrebbero potuto essere adottati quando avevano due o tre anni e che oggi, ormai adolescenti, difficilmente potranno trovare una famiglia".
Anche Aibi conferma il calo delle adozioni, ma precisa che le cause vanno cercate anche "nella crisi economica, nell’apertura verso la fecondazione assistita e nelle difficoltà burocratiche". La questione economica non è indifferente nelle adozioni internazionali: in alcuni Paesi, come in Kosovo, la procedura costa meno di 10mila euro, mentre in altri può arrivare anche a 30mila, come accade ad Haiti. La referente però mette sul piatto anche l’inattività della Commissione per le adozioni internazionali: "Veniamo da tre anni in cui la Commissione non ha fatto niente, nessun nuovo accordo con altri Paesi, nessuna missione", dice Legnani, "e così le adozioni sono diminuite". Si è ridotta anche la disponibilità delle famiglie ad adottare, quantificata dal Ciai nel 20% in meno, anche se il numero delle richieste è sempre maggiore rispetto a quello dei bambini segnalati. "Si stima che in Italia oggi ci siano circa tremila famiglie in attesa, a fronte di un migliaio di adozioni che verranno concluse nel prossimo anno", precisa Crestani.