1 dicembre 2014 ore: 16:21
Giustizia

Affettività in carcere, un detenuto: "Non significa avere camere a luci rosse"

Sandro lavora nella redazione di Ristretti orizzonti: "Il carcere di oggi non tutela gli affetti, che sono un punto cardine per il reinserimento. Al contrario, crea una forma di distacco che ti porta, dopo anni, a dovere letteralmente ricostruire il tuo ruolo in una famiglia che non è più quella che hai lasciato"
Tania/A3/Contrasto Carcere di Rebibbia ; poliziotto della Penitenziaria davanti ad una cella

Carcere di Rebibbia ; poliziotto della Penitenziaria davanti ad una cella

PADOVA - "Il carcere di oggi non tutela  gli affetti, che sono un  punto  cardine per il reinserimento. Al contrario, crea una forma di distacco che ti porta, dopo anni, a dovere  letteralmente ricostruire il tuo ruolo in una famiglia che non è  più  quella che hai lasciato". A parlare è  Sandro, detenuto  della redazione  di Ristretti orizzonti, intervenuto oggi al convegno  "Per qualche metro  e un po' d'amore in più". 'Vogliamo sensibillizzare la politica  affinché metta mano a una legge che garantisca spazi e momenti - ha spiegato -. Introdurre luoghi per l'affettività non significa avere  camere a luci rosse, ma un luogo dove puoi  stare in intimità,  piangere e anche sfogarti". Sandro è  in carcere dal 78 e ha una figlia di 34 anni "che ho visto crescere a puntate".  Ecco perché  precisa: "Non lo facciamo  per noi detenuti ma per i nostri  famigliari che sono le nostre  vittime". Carmelo Musumeci, ergastolano, ha aggiunto: "Non capisco proprio  perché lo stato ha così  paura dell'amore e perché io non posso  trascorrere del tempo con mia figlia  senza essere visto e ascoltato. Non capisco perché fa questo alla mia famiglia". E ha aggiunto: "Quando sento mia figlia mi dà l'energia  per andare avanti  e aspettare un fine pena che non arriverà  mai".

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