Affettività in carcere, un detenuto: "Non significa avere camere a luci rosse"
Carcere di Rebibbia ; poliziotto della Penitenziaria davanti ad una cella
PADOVA - "Il carcere di oggi non tutela gli affetti, che sono un punto cardine per il reinserimento. Al contrario, crea una forma di distacco che ti porta, dopo anni, a dovere letteralmente ricostruire il tuo ruolo in una famiglia che non è più quella che hai lasciato". A parlare è Sandro, detenuto della redazione di Ristretti orizzonti, intervenuto oggi al convegno "Per qualche metro e un po' d'amore in più". 'Vogliamo sensibillizzare la politica affinché metta mano a una legge che garantisca spazi e momenti - ha spiegato -. Introdurre luoghi per l'affettività non significa avere camere a luci rosse, ma un luogo dove puoi stare in intimità, piangere e anche sfogarti". Sandro è in carcere dal 78 e ha una figlia di 34 anni "che ho visto crescere a puntate". Ecco perché precisa: "Non lo facciamo per noi detenuti ma per i nostri famigliari che sono le nostre vittime". Carmelo Musumeci, ergastolano, ha aggiunto: "Non capisco proprio perché lo stato ha così paura dell'amore e perché io non posso trascorrere del tempo con mia figlia senza essere visto e ascoltato. Non capisco perché fa questo alla mia famiglia". E ha aggiunto: "Quando sento mia figlia mi dà l'energia per andare avanti e aspettare un fine pena che non arriverà mai".