22 ottobre 2014 ore: 11:44
Giustizia

Al Salone del gusto si mangia il “Pane libero” prodotto dai detenuti

Insieme ai “Grissini stirati” e al “Pane quotidiano” la cooperativa “Pausa Cafè” sarà presente nello stand della Coop alla kermesse torinese che apre domani. Da dieci anni dà lavoro ai detenuti del Piemonte nella produzione di eccellenze alimentari, tra cui anche la birra e caffè
Panettiere

TORINO - Le vie del commercio equo e solidale sono infinite: ne avranno prova in questi giorni gli avventori del Salone internazionale del gusto, la cui prossima edizione aprirà i battenti domani, giovedì 23 ottobre (fino al 26), nell’area fiere del Lingotto. Tra i padiglioni della kermesse enogastronomica, la Coop allestirà uno stand tutto dedicato al cibo “sociale”; qui, oltre alle piante aromatiche bio della linea Vivi Verde (prodotte dalla cooperativa sociale “Il Bettolino”, che ospita 27 ragazzi svantaggiati), verranno esposti i prodotti del panificio del carcere San Michele di Alessandria, un laboratorio che attualmente dà lavoro a 7 detenuti, impegnati nella produzione del “Pane libero”, del “Pane quotidiano” e dei “Grissini stirati”.

- “Si tratta di vere eccellenze gastronomiche - spiega Marco Ferrero, responsabile del progetto - realizzate esclusivamente con farine biologiche e lievito madre e cotte in forno a legna dopo una lievitazione di 18 ore”. Ferrero è presidente della cooperativa “Pausa Café”, una realtà che si occupa di commercio equo e solidale e aderisce al movimento Slow food. Nata nel 2003, la cooperativa ha realizzato progetti nelle carceri di gran parte del Piemonte: dopo quello di Alessandria, un altro panificio verrà a breve impiantato nella casa circondariale di Cuneo, mentre al “Rodolfo Morandi” di Saluzzo è attivo un birrificio che impiega 5 detenuti nella produzione di ben dodici qualità di birra, premiate ed esportate in tutto il mondo. “A Saluzzo - continua Ferrero - stiamo cercando di produrre birre che siano quanto più vicine agli stili artigianali cui si rifanno: abbiamo riscoperto, ad esempio, la Pils boema di inizio secolo, che produciamo con il fiore del luppolo Saaz. Produciamo anche una birra del bere responsabile, la ‘Dui & mes’, che in dialetto piemontese si traduce in ‘due e mezzo’, ovvero il grado alcolico contenuto dalla bevanda”.

Ma la prima e più prestigiosa attività di “Pausa Café” è, per l’appunto, la produzione di caffè. La cooperativa ne importa una pregiata qualità dal dipartimento di Huehuetenango, in Guatemala; per lavorarla poi in un laboratorio del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino.”Si tratta - spiega Ferrero - del primo presidio Slow food internazionale in assoluto. Con questo progetto perseguiamo un duplice obiettivo: pagando la materia prima 40 dollari al quintale, aiutiamo i produttori guatemaltechi a riportare a dei prezzi accettabili le loro esportazioni, il cui prezzo era crollato a picco nel 2003 per la profonda crisi attraversata dal settore. E, parallelamente, coinvolgiamo i carcerati nella produzione di un’eccellenza alimentare”.

Per Ferrero, quest’ultimo aspetto può rivelarsi di vitale importanza nel percorso reinserimento di un detenuto: “Il carcere - spiega - tende a sottrarre fiducia nei propri mezzi, intaccando il senso stesso della propria identità: le statistiche ci dicono che, in media, un detenuto italiano tende a tornare in carcere nell’arco di appena cinque anni. Formarli per una produzione d’eccellenza, può dar loro la possibilità di tornare a credere in sé stessi. Per questo, a Grugliasco, in provincia di Torino, abbiamo anche un ristorante, dove assumiamo abitualmente detenuti che si trovano ad attraversare la fase del fine pena, una delle più delicate del loro percorso”.

Delle 33 persone impiegate dalla cooperativa, ben 22 provengono dalle case circondariali del Piemonte: di questi, 17 sono detenuti. Dal 2004 a oggi, “Pausa café” ha raccolto e investito un milione e mezzo di euro, con un introito di oltre un milione e 200mila euro “generato dai detenuti per i detenuti”, precisa Ferraro. “In altre parole - spiega - ciò significa che per ogni euro investito, un euro e 25 centesimi finiscono ai detenuti che lavorano con noi”. (ams)

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