Alexandru, detenuto romeno: una vita in salita tra disabilità e solitudine
- ROMA - I detenuti con disabilità nei penitenziari italiani sono 628, secondo una circolare del Dipartimento amministrazione penitenziaria che riporta i dati aggiornati allo scorso agosto. Quale assistenza dovrebbe esser loro garantita? E quale il ruolo dei caregiver? Storie, approfondimenti e voci di volontari e addetti ai lavori nell’inchiesta di luglio del mensile SuperAbile Inail, anche online al link. In copertina e nelle pagine dell’inchiesta, un racconto per parole e immagini (nel reportage di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto) di un detenuto disabile nel carcere circondariale di Regina Coeli, a Roma. Alexandru Jerbea è di poche parole. Ha superato l’esame del corso base di italiano, ma non padroneggia la lingua e preferisce esprimersi in romeno per raccontare la sua storia segnata dalla sofferenza. Nato 40 anni fa con un piede torto e il rispettivo braccio sinistro con disabilità ("non ricordo la diagnosi precisa"), viene abbandonato dai genitori naturali, ma la sorte sembra sorridergli: lo adotta una coppia di anziani, che però muore troppo presto e lo lascia di nuovo solo al mondo, circa un decennio fa.
A causa della sua disabilità non riesce a trovare lavoro; per qualche tempo riceve un sussidio statale, poi nulla. "Sono venuto in Italia sette anni fa con alcuni amici, che poi mi hanno detto di arrangiarmi e lasciato al mio destino. Vivevo chiedendo l’elemosina", riassume velocemente, facendosi aiutare nella traduzione da Timoty, un altro detenuto di origine romena. Sì, perché nel dicembre del 2014 Alexandru è finito nel carcere di Regina Coeli, a Roma. Non è possibile chiedergli per quale reato, fatto sta che la sua pena è in scadenza. "Mi trovo abbastanza bene, ho conosciuto degli amici con cui parlare e sfogarmi; alcuni compagni di cella mi danno una mano e anche la polizia penitenziaria". Un altro detenuto racconta che quando Alexandru andava a farsi la doccia, qualcuno gli portava uno sgabello per farlo sedere ed evitare che cadesse, visto il pavimento scivoloso. In cella gli hanno lasciato la branda al “piano terra”, più accessibile. Lui si schermisce: "Sono autosufficiente, solo faccio le cose molto più lentamente degli altri".
Magrissimo, lo sguardo perso nel vuoto, non ha molte prospettive per il futuro fuori dal penitenziario: "Spero nell’aiuto che mi hanno promesso alcuni amici e padre Vittorio Trani, il cappellano, che mi accoglierà per alcuni mesi in una delle strutture per gli ex detenuti. Poi si vedrà". Non riceve visite, qualche volta arriva il sacerdote ortodosso a dargli conforto: "La Bibbia è l’unico libro che mi interessa leggere", dice, e sogna di assaggiare di nuovo la ricotta di cui è goloso, una volta uscito di prigione, mentre in questi giorni guarda le partite degli Europei di calcio ("Non ho mai potuto giocare a pallone, ma sono appassionato e lo seguo in tv"). Stefania Tallei –volontaria della Comunità di Sant’Egidio, che segue questi detenuti in difficoltà durante e dopo la pena – gli ha spiegato dove può recuperare vestiario e biancheria, e si darà da fare per fargli riconoscere l’invalidità civile. Un percorso tutto in salita, e lui lo sa. Sorride timidamente solo quando si sente dire “grazie” per la disponibilità a raccontare la sua fatica di vivere. (Laura Badaracchi)