3 settembre 2015 ore: 15:36
Immigrazione

Ambrosini: questa Europa irrazionale che accoglie i rifugiati più “accettabili”

Intervista al sociologo autore di “Non passa lo straniero?”. “I migranti sono una posta simbolica facile per riaffermare le identità nazionali. Il caso della Germania fa capire che i paesi accolgono persone da aree in cui l’emozione pubblica per le tragedie in corso fa abbassare le barriere politiche e psicologiche”
Maurizio Ambrosini (sociologo)

ROMA – I primi treni da Budapest sono partiti questa mattina. A bordo c’erano alcuni dei rifugiati, che da due giorni restano bloccati davanti alla stazione di Keleti. Intanto al Brennero sono ripresi i controlli alla frontiera e in Serbia la polizia ha iniziato a marchiare con un numero identificativo i migranti che transitano sul proprio territorio. Mentre alcuni paesi europei cercano soluzioni possibili a quella che ormai è una crisi umanitaria senza precedenti, le vicende degli ultimi giorni hanno cambiato lo scenario e l’immagine dell’immigrazione in Europa. Maurizio Ambrosini, sociologo, docente dell’università Statale di Milano e autore di “Non passa lo straniero? Politiche migratorie tra sovranità nazionale e diritti umani”, analizza in questa intervista il nuovo quadro del fenomeno.

Maurizio Ambrosini
Maurizio Ambrosini (sociologo)

Professor Ambrosini, come spiega quello che sta accadendo in queste ore in Europa?
Quello a cui siamo assistendo è del tutto irrazionale, prima che ingiusto. L’Ungheria non permette di partire a persone che desiderano solo transitare sul suo territorio per andare altrove. E non si capisce perché lo faccia, visto che non dovrebbe essere un problema lasciarli passare. Lo stesso vale per la Serbia. La resistenza di ungheresi e serbi e l’inasprimento dei controlli nei confronti dei rifugiati non ha ragioni economiche o sociali rilevanti. E’ chiaro che queste persone vogliono andare in Germania, pagano persino il biglietto.
Si tratta piuttosto di un conflitto simbolico, squisitamente politico: è sostanzialmente una riaffermazione dei confini e dell’identità nazionale. In un mondo che si globalizza la politica si rinazionalizza. E allora immigrati e rifugiati sono una posta simbolica facile per questa operazione di rassicurazione dell’opinione pubblica interna e per la riaffermazione della propria identità. Dall’altra parte, l’aspetto positivo di questi giorni è che sta crescendo il consenso sul superamento del 'muro' di Dublino. Qualcuno lo dice più esplicitamene, altri meno, ma sicuramente lo scenario sta saltando così come stanno saltando quel regolamento. La Germania che già accoglieva i siriani l’ha detto chiaramente. E’ una scelta dichiarata a livello internazionale, con un discorso molto duro e dignitoso della cancelliera Merkel di condanna contro ogni discriminazione, contro la xenofobia e gli attacchi verso i rifugiati.

Quali sono le ragioni alla base di questa scelta di una "accoglienza selettiva"?
La Germania ha aperto ai siriani, altri paesi come la Slovacchia hanno dichiarato di voler accogliere solo rifugiati di religione cristiana. Questi casi fanno capire che i paesi accolgono quelle persone provenienti da aree in cui è tale l’emozione e il coinvolgimento della pubblica opinione per le tragedie in corso da far abbassare le barriere politiche e psicologiche. Sono casi cioè che possono essere più facilmente accettati. Nel caso della Merkel va tenuto conto che in Germania ci sono stati circa 200 attacchi verso luoghi che accolgono gli immigrati e i richiedenti asilo, quindi non è una questione facile. E lei ha promesso il pugno duro. E’ vero anche che i siriani sono generalmente più istruiti, ma bisogna vedere quali competenze sono realmente trasferibili da un paese all’altro. I rifugiati benché qualificati all’origine quando si spostano affrontano grandi problemi per la riattualizzazione delle loro competenze. In molti casi devono ricominciare da zero.

-Ma qual è lo scenario che ci si profila? Quello di un’Europa con profughi di serie A e profughi di serie B: chi viene accolto e chi rimane nel limbo?
E’ vero che si può creare una disuguaglianza tra persone che ugualmente richiedono asilo e hanno diritto ad essere accolte. Ma io sarei pragmatico nella situazione attuale. Cominciamo a sbloccare e a valorizzare queste disponibilità. Non è costituzionalmente elegante che si dica vogliamo accogliere solo cristiani, o solo i siriani, ovvio. Ma intanto si alleggerisce il fardello e si cominciano ad aprire dei canali. Sperando anche in un effetto allargamento in altri paesi. Ripeto, non è elegante ma può essere pragmatico...
E accogliere quei rifugiati che possono essere maggiormente accettati dalla popolazione, toglie ogni pretesto per la xenofobia e il rifiuto. Perché una delle ragioni della chiusura è la diversità culturale e religiosa. La paura della perdita di consenso elettorale in favore delle forze xenofobe è un problema che c’è in tutti i paesi. Il passo avanti sarebbe quello di riconoscere ai rifugiati la possibilità di scegliere. Dal punto di vista della protezione dei diritti umani è sbagliato trattarli come pacchi o, meglio, come scarti umani di cui i paesi ob torto collo devono farsi carico pro quota. Si dovrebbe consentire alle persone di decidere dove possono ricostruire la loro vita. Questo esige anche una comunitarizzazione dei costi relativi.

L’obiezione a questa ipotesi è che poi i rifugiati sceglierebbero di andare solo in alcuni paesi, come quelli del Nord Europa economicamente più avanzati. 
L’esperienza ci dice che ci vanno lo stesso. La differenza è che non possono farlo in maniera legale. I rifugiati si dirigono verso quei paesi dove le politiche di accoglienza sono consistenti e dove ci sono maggiori opportunità di futuro. Come ha scritto un grande pensatore, la disuguaglianza nelle opportunità di mobilità attraverso le frontiere è la  più grande forma di ingiustizia del nostro tempo. Le possibilità di buona vita derivano non da quello che uno sa o dai suoi valori morali, dalla sua eccellenza, ma derivano principalmente dal luogo in cui uno è nato, dal passaporto che ha in tasca. A livello globale, dunque, i confini nazionali sono una grande matrice di ingiustizia, e alzare i muri come si torna a fare in Europa significa voler riaffermare questa ingiustizia, perfino per le persone in pericolo di vita.

Quella che abbiamo di fronte ormai è una crisi umanitaria. In questi giorni si torna a discutere delle possibili soluzioni, dai canali umanitari, all’asilo europeo fino all’apertura delle frontiere. Quale, tra le ipotesi circolate, la convince di più?
Innanzitutto credo che, una volta arrivato in Europa, al rifugiato debba essere riconosciuta la libera circolazione. Non è più troppo utopistico chiederlo, anche perché ci sono già rifugiati riconosciuti in Italia, che vanno in Germania a cercare lavoro e tornano periodicamente a rinnovare il permesso. Nella realtà questo esiste già, si circola normalmente nello spazio europeo molto più di quanto si voglia accettare. Bisognerebbe solo normalizzare tutto questo con un’apertura delle frontiere interne. La parte più angosciante, invece, è come consentire ai rifugiati di arrivare fin qui. Una possibilità è quella del reinsediamento, che riguarda già oggi alcune persone, ma con numeri contenuti. Si tratta di quelle persone provvisoriamente accolte in paesi come Turchia e Libano, dove hanno avuto un primo riconoscimento dell’asilo. Queste persone dovrebbero essere autorizzate a presentare una domanda lì, vederla esaminata in tempi rapidi per un successivo asilo in un paese più avanzato. Si eviterebbero così i viaggi della speranza, con i rifugiati che arrivano con un regolare biglietto aereo. (ec)

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