America del Sud, 5 mila km con una bici di bambù contro l’inquinamento plastico
Dario Nardi e la sua bicicletta di bambù
ROMA - Dario Nardi, biologo marino ferrarese classe 1984, sta per passare il confine: superata Guayaquil, ora sta pedalando alla volta del Perù. Il suo viaggio, in tutto, conterà oltre 5 mila chilometri in America del Sud: partito dalle Galapagos, ha fatto tappa in Ecuador e continuerà verso il Perù, per poi dirigersi in Bolivia e Cile. Da Quito a Santiago, il tutto a cavallo della sua bicicletta di bambù. Perché lo fa? “Per sensibilizzare le persone sul problema ecologico principale della nostra epoca: l’inquinamento plastico”, racconta. Perché, sottolinea, questo fenomeno non riguarda “solo” oceani e mari, ma anche gli esseri umani: “È un problema di tutti: le plastiche hanno già cominciato -a entrare nella catena alimentare. I pesci mangiano le microplastiche e noi mangiamo quei pesci”.
Secondo studi recenti, l’80 per cento delle acque mondiali presenta fibre di plastica al suo interno: “Questo significa che noi abbiamo bevuto, con una probabilità dell’80 per cento, della plastica”. Per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema, Dario ha cominciato a pedalare: “Credo che l’arma principale che abbiamo per combattere questa tragedia sia la conoscenza. Spesso non si ha la percezione di quanto sta accadendo, soprattutto in queste zone, molto povere. Ma anche da noi – l’Occidente – le cose non vanno meglio: poche persone si rendono conto che a ogni spesa accumulano quintali di plastica”.
Il progetto di Dario si chiama Ocean Traceless e in esso confluiscono le passioni del giovane ferrarese: quella per le arti visive (Dario documenterà sui suoi canali Facebook e Instagram gli spostamenti); quella per la biologia marina e quella per il viaggio, “scelto come strumento d’espressione”. L’obiettivo finale corre su due binari: da un lato, la sensibilizzazione. Dall’altro, la realizzazione di un documentario con tutto il materiale che avrà messo da parte: foto, video, interviste. I focus del documentario saranno tre: il viaggio stesso; l’inquinamento plastico; la voglia di proporre qualche soluzione.
Come detto, i 5 mila chilometri Dario li percorrerà con una bici di bambù: “Già in questa scelta sta tutto il senso del progetto: muoversi in bici è l’espressione stessa del muoversi senza impatto – senza lasciare tracce, “traceless” –. Cosa c’è di meglio, allora, che una bici? Solo così puoi vivere metro per metro, sentire ogni odore, ogni voce, percepire ogni buca e ogni camion che ti sorpassa ai 200 all’ora”. Naturalmente, anche la scelta del bambù non è casuale: “L’utilizzo di materiali alternativi è l’unica soluzione a questo problema. La mia è una provocazione: faccio cose normali con materiali alternativi. Quante cose potremmo fare adottando questa filosofia?”. Parte della soluzione, secondo il biologo, sta proprio nella scelta di utilizzare materiali alternativi, come il bambù. “Il bambù è un materiale dai risvolti infiniti e potrebbe essere una delle risposte a questo problema epocale. Lo ripeto sempre: quando i posteri leggeranno di come abbiamo trattato queste tematiche si faranno una sonora risata: siamo già al limite e continuiamo a usare plastica, come se non avessimo già distrutto mezzo pianeta”.
Il tema dell’inquinamento plastico non sarà affrontato solo da un punto di vista fotografico ma, nell’ottica del documentario, anche attraverso materiale video e testimonianze: “Pochi giorni fa ho intervistato un funzionario del ministero dell’Ambiente ecuadoriano: mi ha raccontato le azioni che lo Stato sta mettendo in campo per arginare questo problema e qual è l’effettiva situazione sulle coste. Poi ho parlato con il responsabile del centro di riciclaggio di Isla Santa Cruz, alle Galapagos, un incontro molto interessante. Va ricordato che le coste del Pacifico sono le più inquinate, vi si affacciano i due Paesi più inquinanti, Stati Uniti e Cina. Sentirò le voci dei protagonisti in ogni tappa che farò”.
Il viaggio di Dario, però, non toccherà solo le coste, ma anche alcune zone interne: una su tutte, il lago Titicaca tra Perù e Bolivia, situato a 4 mila chilometri d’altezza: “È l’esempio lampante di quanto grave sia il problema di cui stiamo parlando, è un laboratorio chiuso di quanto sta accadendo: nel lago c’è un’altissima concentrazione di inquinamento, frutto della negligenza e della non conoscenza, come poi accade altrove, solo che lì, essendo uno spazio chiuso, fa ancora più impressione”.
Di fronte a un’impresa tanto grande, Dario confessa di avere due grandi sogni: riuscire a coinvolgere sempre più persone in questa “missione” e far sì che, un giorno, tutti prendano coscienza di quello che stiamo distruggendo e agiscano di conseguenza: “Il potere è nelle mani del consumatore: è lui – siamo noi – che possiamo cambiare il mercato. Se da domani, per magia, tutti cominciassimo semplicemente a non usare più la plastica, nel giro di pochi mesi finirebbe il problema, e a quel punto potremmo cominciare a ripulire tutto”. (Ambra Notari)