Andare al nido in un carcere: a Bollate si sperimenta la vera integrazione
MILANO - Stanze luminose, mini arredi colorati, giochi e cuscini ovunque. Plastica bandita da ogni ambiente, legno che domina su tutto, toni caldi che riportano alla terra. E fuori, un ampio spazio di verde attrezzato e un orto didattico per toccarla davvero, quella terra, giocare con i cavalli e crescere mantenendo il contatto e i ritmi della natura. Blubaobab è un asilo nido per bimbi dai 5 mesi ai 3 anni ma anche un “luogo di sperimentazione educativa, di incontro e crescita per bambini e famiglie”, all’interno del centro per l’infanzia Biobab.
Un’esperienza unica in Italia perché si trova in un carcere, perché è stato uno dei primi nidi aziendali concepiti per i bambini del personale di un istituto di pena, perché ha aperto le porte ai bimbi delle famiglie del territorio e perché da qualche mese ospita anche i piccoli al seguito delle madri detenute: 24 bambini, 24 storie che si intrecciano ogni giorno e raccontano che si può fare. Ottimi risultati e un bilancio positivo nel primo anno di attività per una sfida vinta a pieni voti e che accorcia tutte le distanze a dispetto dei muri, sempre più alti, oltre i cancelli.
Bollate, il ‘carcere modello’, lancia di nuovo i dadi, in una storia che parla una sola lingua: quella dell’integrazione. La racconta il direttore, Massimo Parisi, che ha aperto le porte dell’istituto a stampa e associazioni in un open day organizzato per presentare il nido e l’avvio delle attività del nuovo anno.
“La nostra – spiega il direttore – è un’esperienza sperimentale unica, soprattutto per la forma che ha assunto. Il progetto nasce come nido aziendale nell’ambito del polo per il benessere del personale, di cui fanno parte anche una palestra e il campo sportivo, ed è stato realizzato grazie al contributo del comune di Milano, della Provincia, dell’Asl e della nostra Amministrazione. Il nido è stato attivato da qualche anno ma all’inizio è rimasto semi vuoto perché il nostro personale non portava i bambini. Forse per una questione di abitudini o per il carattere di novità. Fatto sta che con la cooperativa ‘Stripes’, a cui avevamo affidato il servizio e che aveva già esperienza sul territorio di Rho, ad un certo punto abbiamo pensato di offrire un ritorno al territorio: lo stesso territorio che in qualche modo aveva investito sull’esperienza”.
“E’ così – racconta Massimo Parisi - che abbiamo aperto il nido alle famiglie esterne e questi genitori hanno iniziato a portare i bambini. Credo sia stato quello il primo passaggio importante: le famiglie esterne hanno cominciato a portare i bambini in carcere per farli andare al nido e il carcere è diventato un servizio per il territorio. E’ un passaggio significativo e rappresenta di per sé una novità, anche in termini di abbattimento dei pregiudizi rispetto al carcere e in termini di cultura dell’esecuzione penale. Ed è stata proprio questa esperienza del territorio a trainare il nostro personale perché piano piano anche i nostri dipendenti hanno cominciato a portare al nido i loro figli”.
E mentre la piccola comunità cresceva, si è aggiunto il tassello che ha completato l’opera. “Sì – sottolinea il direttore – perché nel frattempo, nel dicembre scorso, è stata aperta la sezione per le detenute madri con bimbi fino a 3 anni al seguito. E’ stato allora che abbiamo scelto di ospitare quei bambini nello stesso nido. Oggi l’asilo ospita 24 piccoli ed è al completo: ci sono 14 bimbi delle famiglie del territorio, 8 bambini dei nostri dipendenti e 2 bimbi di altrettante detenute madri. Penso che la straordinarietà dell’esperienza stia anche in questa integrazione, soprattutto in un periodo in cui, fuori, si erigono muri. Al di là del servizio, importante, per il personale, l’aspetto significativo del progetto riguarda l’integrazione e il contributo arrivato dal territorio, che è stato la chiave di volta. La cooperativa ‘Stripes’ è riuscita ad attrarre le famiglie esterne e il carcere a fornire una sorta di ‘controprestazione’. Qui si è creato un servizio e anche il territorio ha contribuito fattivamente”.
Nato nel 2015, il progetto sperimentale realizzato dalla cooperativa sociale Onlus Stripes in collaborazione con il ministero della Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è diventato oggi un servizio stabile, con una forte attenzione verso le tematiche ecologiche. Il centro per l’infanzia e le famiglie ospita laboratori, incontri tematici e conviviali, corsi e opportunità di formazione, campus estivi e invernali, tutti legati dal filo comune della sostenibilità ambientale.
“Ma il cuore del Biobab – spiega una nota della Onlus -, attorno al quale è nato e si è sviluppato il progetto ed il cui avvio ha rappresentato la realizzazione di un’ambiziosa scommessa, è l’asilo nido. Pensato inizialmente come servizio per i figli dei dipendenti dell’istituto penitenziario, ha poi accolto anche le famiglie del territorio e, infine, i figli di alcune donne detenute nella struttura. Ad oggi l’asilo nido del Biobab è un caso unico nel suo genere sia per l’esperienza di integrazione che concretamente si propone alla cittadinanza sia per l’offerta pedagogica innovativa all’insegna dell’educazione e sensibilizzazione alla sostenibilità ambientale”.
In primo piano l’offerta formativa, grazie anche alla collaborazione con le altre realtà già presenti e attive nell’istituto penitenziario. “Tra queste – spiega la nota -, la collaborazione con l’associazione ‘Salto Oltre il Muro’, presente nella struttura con un maneggio, che ha permesso la realizzazione di attività di pet-education con i cavalli dedicate ai bambini. Inoltre, la presenza di un ampio giardino all’esterno ha portato alla creazione di un orto didattico nato anche grazie all’impegno dei piccoli ospiti del Biobab che hanno potuto sperimentare in prima persona il contatto con la terra, elemento fondamentale per scoprire l’importanza del contatto tra uomo e natura. Questo è il Biobab, una sfida quotidiana che intende creare un collegamento del territorio con l’istituto penitenziario, un’esperienza sperimentale dedicata ai bambini zero-3 anni, ma anche alle famiglie: uno spazio comunicativo e relazionale orientato a superare barriere fisiche e culturali per crescere insieme”. (Teresa Valiani)