Antiterrorismo su Facebook: ecco come si finisce nei guai cliccando un “like”
I mujaehddin dello Stato islamico li seguiva da molto prima del giugno 2014, quando, con la disfatta di Mosul, anche l’opinione pubblica italiana ha dovuto prendere atto dell’esistenza del nuovo gruppo terrorista. Ma non ha mai imbracciato un kalashnikov, non è mai stato ad al-Raqqa e nella sua abitazione non c’era traccia di materiale bellico o di manuali per la fabbricazione di esplosivi. Perché, per quanto le sue opinioni possano irritare, Oussama Khachia, operaio 34enne originario di Casablanca, è quello che in gergo si definisce un “mediattivista”. Lo Stato islamico lo monitorava dal computer della sua casa di Brunello, il borgo brianzolo dove ha vissuto tre quarti della sua vita: su twitter, oltre a parteggiare per le milizie del Califfato, aveva disseminato un interminabile elenco di invettive contro il governo statunitense, il regime siriano, le milizie sciite dei paesi mediorientali e i curdi di Siria e Turchia. Il tutto corredato da foto, video e servizi giornalistici.
Tanto è bastato perché il Viminale decidesse di espellerlo dall’Italia in via precauzionale: lo scorso 5 febbraio, la polizia ha bussato alla sua casa e, nel giro di qualche ora, Khachia era già su un volo diretto a Casablanca. A nulla sono valse le lacrime del suo datore di lavoro, tantomeno le attestazioni di stima degli abitanti di Brunello, che da tre settimane ripetono che, al netto dei radicalismi online, quel ragazzo conduceva una vita perfettamente serena e normale. “Oussama è un testone, - sospira la sorella A. - ma non ha mai pensato di far del male a nessuno. Col suo lavoro ci sosteneva economicamente, perfino il sindaco ne ha parlato bene ai giornali e di certo non è mai stato un integralista: ha una moglie in Svizzera che non ha mai messo il velo, vivono come occidentali. Io gli ho detto mille volte di non scrivere quelle cose su internet, ma lui rispondeva che esprimere opinioni, in un paese democratico, era suo diritto”.
Dal momento che gli atti sono secretati, poco si sa circa le motivazioni del Ministero: una nota della questura di Varese descrive Khachia come “potenzialmente plagiabile da soggetti intenzionati ad arrecare pericolo allo Stato Italiano”. In realtà, se delle indagini ci sono state, è lecito supporre che queste siano nate e morte proprio su twitter: nei giorni precedenti al rimpatrio, il profilo di Kachia (@K19_84) era stato segnalato da almeno due utenti, che si erano rivolti direttamente al ministro Alfano (@angealfa) al ministro degli esteri Gentiloni (@PaoloGentiloni), al Presidente del consiglio (@matteorenzi) e all’account della Polizia di stato (@Agente_Lisa), indicandolo come “italiano dichiaratamente dell’Isis”.
Qualcosa di simile potrebbe essere successo anche nel caso di Faqir Ghani, 26enne pakistano che dal 2003 risiedeva con la famiglia a Civitanova Marche (MC). Dove, oltre a lavorare in un calzaturificio e ad attendere la cittadinanza che i genitori avevano da poco ottenuto, prestava servizio volontario in Croce verde. Lo scorso 20 gennaio, la polizia lo ha prelevato al lavoro per condurlo nel tribunale di Macerata, dove anche a lui è stata notificata un’ordinanza di espulsione: anche in questo caso, gli atti sono secretati, “quindi - spiega il suo avvocato, Maurizio Nardozza - non sappiamo nemmeno di cosa sia accusato”. “Da una nota piuttosto vaga - continua - risulta che avrebbe condiviso su Facebook materiale legato al terrorismo islamico: in realtà, Faqir ha provato a spiegare che si è limitato a cliccare “like” o condividere alcuni video postati da amici; materiale che peraltro si riferiva a fondamentalisti pakistani, e non all’Isis, come molti hanno scritto”.
Ghani avrebbe però negato ogni simpatia per il terrorismo o l’integralismo religioso: secondo i suoi colleghi della croce verde, “si trattava di un ragazzo assolutamente pacifico, che aveva amici di ogni confessione e parlava dell’Islam come di una religione d’amore”. “Per quello che abbiamo potuto capire - conclude Nardozza - Faqir potrebbe essere accusato di proselitismo: reato che, secondo una sentenza della Cassazione penale del gennaio 2014, non sarebbe neanche presente nell’ordinamento italiano. Noi siamo intenzionati a ricorrere contro questo provvedimento; anche alla Corte di giustizia europea, se necessario”.
Come Ghani, anche Kachia ha già annunciato ricorso, ma le cose potrebbero non essere così semplici. Secondo Guido Savio, legale dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ed esperto in materia di espulsioni, lo Stato avrebbe agito nel pieno delle sue prerogative: “L’articolo 13 del testo unico sull’immigrazione e il decreto legge del 2005 per la prevenzione del terrorismo internazionale - spiega - danno al ministro dell’Interno la facoltà di espellere uno straniero qualora sussistano ragioni di sicurezza. Si tratta di un atto politico, generalmente utilizzato quando qualcuno viene trovato ‘con le mani nella marmellata’, senza che lo stato abbia però nulla di concreto contro di lui: perché, se le prove ci fossero, va da sé che non lo manderebbero a casa, ma in carcere. Tanto è vero che il ministero, avendo facoltà di secretare gli atti, non è tenuto a produrre prove o capi di imputazione. Un esempio potrebbe essere l’imam che si lancia in sermoni particolarmente virulenti e, pur non avendo infranto la legge, viene rimpatriato”.
Secondo Savio, provvedimenti di questo genere vengono adottati, in media, “tra le cinque e le dieci volte l’anno”. Solo tra dicembre e febbraio, però, almeno 11 stranieri sono stati espulsi con la stessa procedura: mediamente si tratta di asiatici, nordafricani o balcanici che, secondo il ministero, cercavano di raccogliere denaro, proseliti o contatti per il fronte siriano.
Ma Ghani e Khachia non sarebbero i soli ad essere stati espulsi sull’unica base dell’attività sui social network. Oltre a Furkan Semih Dundar, lo studente di fisica della Normale rimpatriato in Turchia per via delle deliranti email inviate ai governi di Usa e Italia, c’è infatti il caso di Usman Rayen Khanein, 22enne pakistano-bolzaninoche avrebbe attirato l’attenzione degli inquirenti perché, sul suo profilo Facebook, campeggiava una bandiera dello Stato islamico.
Inoltre, secondo una notizia riportata da bladibella, uno dei più noti portali della comunità marocchina in Italia, la scorsa settimana un giovane barista marocchino sarebbe stato espulso dalla Calabria dopo aver commentato e cliccato “like” su un video relativo all’estremismo islamico. (ams)