Chi è Antonio Maglio, il padre del movimento paralimpico italiano
Antonio Maglio in posa con il gruppo nel CPO.
ROMA – Il primo giugno 1957, con 38 pazienti e 100 posti letto, l’Inail inaugurò il Centro Paraplegici di Ostia “Villa Marina”. A guidarlo il neurologo Antonio Maglio, unanimemente considerato come il padre della sport-terapia in Italia. Per i suoi metodi all’avanguardia e la professionalità dello staff, la struttura si rivelò fin da subito un’eccellenza nel panorama nazionale e internazionale, nota soprattutto per la capacità di recupero fisico e psichico dei pazienti. Si trattava di un’esperienza fortemente voluta da Antonio Maglio che, qualche anno prima aveva avuto modo di visitare personalmente l’ospedale di Stoke Mandeville, alle porte di Londra, dove il neurologo tedesco naturalizzato britannico, Sir Ludwig Guttmann, aveva avviato alla pratica sportiva un gruppo di reduci di guerra, maschi e femmine, tutti con lesioni al midollo spinale. Ispirato dalla straordinaria intuizione di Guttmann, Maglio portò in Italia la sport-terapia e, come la Stoke Mandeville britannica, Ostia divenne la culla dello sport per disabili in Italia. È tra le mura di “Villa Marina” che nacquero i primi campioni paralimpici, infortunati sul lavoro approdati sul litorale romano da tutte le regioni italiane.
Chi era Antonio Maglio?
Nato a Il Cairo l’8 luglio del 1912, Maglio trascorre in Egitto i primi 17 anni della propria vita per trasferirsi a Bari nel 1929, dove si iscrive alla facoltà di Medicina e chirurgia. Mentre il Paese si appresta ad affrontare uno dei periodi più bui della propria storia, l’8 marzo del 1938 Maglio viene assunto dall’Inail e si trasferisce a Trieste. Nell’aprile del 1941, con l’esplosione del secondo conflitto mondiale, viene inviato sulla frontiera italo-jugoslava dove dirige il servizio sanitario presso il 34esimo reggimento artiglieria divisione Sassari. È qui che Maglio si confronta per la prima volta con i tanti soldati che tornano dal fronte in condizioni disperate: uomini che hanno perso le gambe e le braccia o che sono divenuti paraplegici per via di lesioni al midollo spinale. Tornato a casa, riprende la sua attività all’Inail e, parallelamente, nel 1953 consegue la specializzazione in Neurologia e Psichiatria presso l’Università degli studi di Roma. Successivamente viene promosso dall’Inail consulente di Neuropsichiatria centrale. In questo periodo, secondo la ricostruzione della moglie Maria Stella Calà, il medico si reca in una casa di cura di Palestrina, vicino Roma, dove due giovani uomini giacciono abbandonati su due barelle. La diagnosi è fulminea: “Hanno una lesione al midollo, non cammineranno più”, dice Maglio. “Mi descrisse il dolore, la rabbia e il sentimento bruciante di impotenza che provò davanti a quell’immagine terribile”, ha raccontato Maria Stella Calà a Luca Saitta, autore, nel 2018, della biografia del padre dello sport per disabili in Italia intitolata “Senza barriere. Antonio Maglio e il sogno delle Paralimpiadi”. “Credo che tutto quello che ha realizzato dopo abbia trovato la sua origine in quel momento”, ha detto ancora Maria Stella.
Quando, nel 1957, il Centro Paraplegici di Ostia “Villa Marina” apre i battenti, Maglio viene nominato subito direttore sanitario. A differenza di Stoke Mandeville, che accoglieva i soldati e gli ufficiali feriti, il Cpo è riservato ai lavoratori infortunati provenienti da tutte le regioni d’Italia. Fin da subito il direttore sanitario si ispira ai programmi di sport-terapia che sir Ludwig Guttmann ha applicato con tanto successo a Stoke Mandeville, dove nel 1948 si tengono i primi Giochi per disabili. Dieci anni dopo Maglio, che collabora con lui da un certo lasso di tempo, confida il suo sogno a Guttman: trasferire i Giochi di Stoke Mandeville a Roma, approfittando della 18esima edizione delle Olimpiadi che due anni dopo, nel 1960, si sarebbero tenute proprio nella Capitale. Secondo l’idea di Maglio, inoltre, la nona edizione dei Giochi di Stoke Mandeville doveva essere disputata pochi giorni dopo e negli stessi impianti che avrebbero ospitato le Olimpiadi.
Roma 60 e la nascita dei Giochi Paralimpici
Il 18 settembre 1960, due settimane dopo la chiusura dei Giochi Olimpici, sulla pista dello stadio dell’Acqua Acetosa, dove il 25 agosto avevano sfilato le squadre olimpiche, dinanzi a una piccola folla composta da 5mila spettatori tra cui Carla Gronchi, moglie dell’allora presidente della Repubblica, sfilano 400 atleti in carrozzina provenienti da oltre 21 Paesi diversi, in rappresentanza di tutti e cinque i continenti. La delegazione più numerosa è quella italiana, che sulle magliette porta stampata a grandi caratteri la scritta Inail. Sei giorni dopo, a conclusione dell’evento, anche il medagliere più ricco sarà quello italiano con 29 ori, 28 argenti e 23 bronzi per un totale complessivo di 80 medaglie. Oggi quell’evento sportivo così straordinario è universalmente conosciuto e riconosciuto come la prima Paralimpiade della storia. Ufficialmente, però, quella che si disputò a Roma in quell’ultimo scorcio dell’estate di 62 anni fa era la nona edizione dei Giochi internazionali di Stoke Mandeville. Solo 24 anni dopo, precisamente nel 1984, il Comitato Olimpico Internazionale ha approvato la denominazione Giochi Paralimpici, utilizzata per identificare i Giochi disputati da persone con disabilità, riconoscendo a posteriori la nona edizione dei Giochi internazionali di Stoke Mandeville come la prima Paralimpiade della storia.
Maria Stella Calà: la moglie di Antonio Maglio e la custodia della memoria
Antonio Maglio si è spento nel 1988 a causa di un malore cardiaco, lasciando un movimento paralimpico maturo e destinato, negli anni futuri, a conquistare fama, rispetto e popolarità a livello internazionale. È certo, tuttavia, che le sue preziose e modernissime intuizioni abbiano, se non cambiato, per lo meno accelerato il corso della storia, soprattutto rispetto alla generazione di quegli infortunati sul lavoro che, grazie all’impegno del medico dell’Inail, hanno trovato nello sport uno strumento per riprendere in mano le proprie vite. Negli anni successivi la custode più determinata della memoria di Maglio è stata la moglie Maria Stella, che ha approfittato di ogni occasione per ricordare il ruolo fondamentale giocato da suo marito nella storia dello sport per disabili.
Nel suo lavoro è stato un uomo lungimirante, nonché un pioniere. All’epoca non esisteva il concetto di riabilitazione per chi aveva una lesione midollare, mentre lui parlava già di presa in carico dei pazienti, di terapia occupazionale, di reinserimento socio-lavorativo, di ausili...
... di importanza dell’affettività e della sessualità, di ricerca scientifica, di uguaglianza pur nel rispetto delle diverse condizioni. Inoltre dava molta importanza alla sfera psicofisica, allo spirito di comunità e al recupero dell’autostima - ha detto Maria Stella in una recente intervista al mensile SuperAbile Inail. Per la signora Maglio la memoria è fondamentale “per capire come si è arrivati a quelli che sono i Giochi Paralimpici oggi. La storia è anche una missione educativa e culturale – ha sottolineato –: per questo sono molto grata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per i meriti riconosciuti a mio marito”.
I ragazzi di Ostia
Nel 2016, l’anno dei Giochi di Rio de Janeiro, il Comitato italiano paralimpico, insieme a Inail e Fondazione italiana paralimpica, attraverso il progetto “Memoria Paralimpica”, ha messo a disposizione della collettività il documentario “E poi vincemmo l’oro”, una mostra fotografica e un archivio online contenente interviste, filmati e 900 foto d’epoca, molte delle quali inedite. Attraverso questo lavoro di ricerca, realizzato dall’agenzia stampa Redattore Sociale insieme a Zoofactory Film Production e a kapusons web agency, è stato possibile ricostruire le testimonianze di alcuni degli atleti paralimpici della prima ora, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, passarono per il Centro Paraplegici di Ostia. Per tutti loro loro l’incontro con Maglio è stato fondamentale. “Per lui erano come figli – ha raccontato in quell’occasione la moglie Maria Stella – . Se una persona disabile si ammalava in maniera grave, rimaneva vicino al letto del paziente, fintanto che non si rimetteva in carrozzina, lui non andava via, non tornava a casa. A Natale, le feste comandate, le passava con loro. Lui si era integrato perfettamente con questo mondo e voleva che anche il resto del mondo lo trattasse allo stesso modo”.