28 settembre 2016 ore: 09:37
Immigrazione

Appello per Bacary, giovane senegalese ferito in Libia e sbarcato a Lampedusa

Arrivato il 15 settembre è stato curato d'urgenza a Palermo, ma ora il dormitorio pubblico non è adeguato alle sue condizioni. In Senegal ha lasciato la moglie e le due piccole figlie. “Se avessi saputo la situazione in Libia, non sarei mai andato”
Migranti. Accoglienza a Lampedusa

PALERMO - E' magrissimo, ancora in convalescenza e ha difficoltà a muoversi a causa di un proiettile che ancora non è stato tolto dalla sua spalla. E' la storia di Bacary, un giovane senegalese che è arrivato 15 giorni fa dalla Libia a Lampedusa, ferito da due colpi di arma da fuoco. Per lui dopo essere stato dimesso quattro giorni fa dall'ospedale civico di Palermo è stato offerto soltanto il dormitorio pubblico di Palermo. I frati francescani della onlus Frate Gabriele Allegra lanciano un appello affinché si riesca a trovare un'altra sistemazione, magari all'interno di un centro di accoglienza. "Il ragazzo - dice fra' Loris d'Alessandro - appare fortemente denutrito e sta soffrendo fisicamente in maniera molto composta e dignitosa. Stiamo cercando di capire come possiamo aiutarlo".

Migranti. Accoglienza a Lampedusa

"Al dormitorio vado soltanto la sera - racconta il giovane che parla francese, molto preoccupato - ma poi la mattina presto esco fuori e non so dove andare e cosa fare. Per il dolore che ho alla spalla non mi sento in questo momento di girare per la città tutto il giorno. Ho bisogno di un posto sicuro dove stare più tempo per guarire per poi iniziare subito a lavorare". Il giovane, che è sotto terapia antibiotica, dovrà tornare periodicamente in ospedale per monitorare lo stato della sua spalla e capire se effettuare l'estrazione del proiettile.

Bacary D. ha 35 anni ed è originario del Senegal del sud, dove ha lasciato una moglie con due bambine piccole di 5 e 2 anni. Lavorava come agricoltore in una località al confine con il Gambia, che è continuamente presa d'assalto da gruppi di ribelli che si vogliono appropriare della terra con la violenza. Dopo l'ennesimo sopruso ha deciso lo scorso giugno, d'accordo con la famiglia, di lasciare il suo Paese. Si è messo così in cammino in un viaggio durato mesi, prima pagando il trasferimento in macchina per il Mali e poi per l'Algeria, attraversando il deserto in parte a piedi. Il suo obiettivo iniziale era quello di raggiungere la Libia - grazie all'interessamento di un suo amico muratore -,  per lavorare e portare i soldi alla sua famiglia. L'amico però non lo ha messo in guardia sulla situazione pericolosa che sta vivendo la Libia. "Se l'avessi saputo prima - racconta - non ci sarei andato. La Libia è un caos dove ci sono tante armi e c'è violenza di ogni tipo, soprattutto nei confronti di noi africani, che veniamo continuamente picchiati e derubati. I libici sono molto cattivi con noi e per loro siamo soltanto degli schiavi che per ogni cosa dobbiamo pagare".

Bacary riesce ad arrivare in Libia nel mese di agosto, dove trascorre un mese lavorando come aiuto-muratore. Per sopravvivere dorme in uno dei campi di detenzione dove ammassati ci sono tanti altri africani di parecchie nazionalità, in condizioni estremamente precarie. La gran parte sono in attesa di partire per raggiungere le coste italiane. "La situazione di questi centri - dice - è terribile. Ognuno cerca di rendersi utile provando a lavorare e a raccogliere i soldi necessari a pagarsi il viaggio. Se non lavori non mangi e la violenza è quotidiana. Quando partiamo dai nostri paesi nessuno ci dice cosa c'è in Libia".

Concluso il lavo, il libico al quale era sottoposto non ha voluto pagarlo. "Dopo avergli detto che Dio avrebbe visto come si stava comportando nei miei confronti - racconta - lui ha preso una pistola e mi ha sparato due colpi". Il giovane ferito viene portato in ospedale dove intervengono per tamponare le due ferite. L'amico decide di aiutarlo a partire per l'Italia pagandogli 100 denari per il viaggio e Bacary parte. Poichè è ferito, viene disteso nella barca insieme a tanti altri. "Io non avrei voluto partire in quelle condizioni ma rischiavo di morire. In viaggio soffrivo tanto per le ferite - dice -. Non avevamo né cibo né acqua. Il mare era molto mosso e in tanti gridavano. Mi ricordo soltanto quando una grossa nave ci ha salvati".

Arrivato a Lampedusa, è stato trasferito all'ospedale civico di Palermo d'urgenza in elicottero e sottoposto alle operazioni chirurgiche. "Mi hanno colpito al fianco e alla spalla - racconta -. Sono riusciti a togliermi solo il proiettile del fianco. Il dottore, intervenendo anche sulla spalla, mi ha detto che per il momento non mi poteva togliere il proiettile perché si trova in un punto molto delicato". Dopo cinque giorni di degenza in ospedale la polizia venerdì scorso lo ha portato nel dormitorio pubblico. Durante il giorno per i beni di prima necessità si reca al centro Astalli e pranza in Caritas. "Spero di guarire al più presto - dice pure - perché ho bisogno di lavorare per portare i soldi alla mia famiglia e per ringraziare anche il mio amico rimasto in Libia che mi ha pagato il viaggio, salvandomi la vita". (set)

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