21 ottobre 2020 ore: 10:00
Disabilità

Arriva al cinema The Specials, il film sull’autismo di Toledano e Nakache

di Antonella Patete
Dai registi di “Quasi amici” una pellicola per raccontare il non profit francese e l’autismo in Francia. Il film denuncia l’abuso di farmaci, la contenzione e il rifiuto di prendersi cura dei casi più difficili. Dal 29 ottobre in sala il film che tutti gli operatori sociali dovrebbero vedere
Foto di Carole Bethuel Film “The Specials - Fuori dal comune”, fotogramma

ROMA – Giovani autistici, genitori, assistenti, educatori, ma anche dottori, responsabili sanitari e ispettori del ministero degli Affarsi sociali: “The Specials - Fuori dal comune”, l’ultimo film dei francesi Éric Toledano e Olivier Nakache, dal 29 ottobre al cinema, racconta una sorta di universo parallelo, in cui assistenti e assistiti vivono in un magma effervescente di urgenze, successi e insuccessi che rendono ogni singolo giorno a suo modo esplosivo. Arricchita dalla presenza di due attori di grande potenza espressiva come Vincent Cassel e Reda Kateb, la pellicola arriva al termine di un percorso cominciato nel lontano 1994, quando Toledano e Nakace conobbero per la prima volta Stéphane Benhamou, fondatore dell’associazione Le Silence des Justes, specializzata nell’assistenza ai bambini e adolescenti autistici. Qualche tempo dopo realizzarono un corto sull’associazione, portando le telecamere a Saint-Denis, lo stesso luogo dove 20 anni dopo avrebbero girato “The Specials”. In quell’occasione conobbero Daoud Tatou, un assistente di Benhamou che, qualche tempo dopo, sarebbe diventato direttore di Le Relais Idf, un’altra associazione che si occupa di ragazzi autistici, promuovendo al tempo stesso l’integrazione sociale e professionale dei giovani dei quartieri meno privilegiati.

Non da un giorno all’altro è nato “The Specials”

Quel mondo li affascinava, ma Toledano e Nakace non si sentivano ancora pronti a trasformare le storie di Stéphane e Daoud in un film. C’è voluto altro tempo e un documentario, realizzato quattro anni fa per Canal+, a dargli il coraggio di affrontare un materiale tanto incandescente. Nel mezzo altri film, tra cui quel “Quasi amici”, campione d’incassi nei botteghini di tutto il mondo, che quasi dieci anni fa ha rappresentato una vera novità nella narrazione della disabilità. E che non sarebbe mai potuto nascere senza l’incontro con Le Silence des Justes. Una volta rotti gli indugi i due registi si sono gettati a capofitto in un’impresa che già si annunciava tutt’altro che una passeggiata. “Ci siamo immersi nelle due associazioni per due anni. Le scene nel film, inclusa la fuga di Valentin, sono tutte esperienze vissute – ha raccontato Toledano –. Il nostro periodo di osservazione è stato molto educativo e la sceneggiatura è stata creata sulla base di esperienze condivise quotidianamente. Inoltre dopo due anni la nostra motivazione è crescita esponenzialmente. All’inizio fare questo film era un desiderio forte, nel tempo è divenuto una necessità”, ha detto ancora.

Abuso di farmaci, contenzione e rifiuto dei casi più complessi

“The Specials” è però anche un film di denuncia, che punta il dito sulla difficoltà delle famiglie nella gestione delle persone disabili adulte, sui problemi legati alla ricerca di un lavoro, sulla questione del dopo di noi. Ma anche sull’abuso dei farmaci e sull’abitudine di usare la contenzione, specie per evitare gli atti di autolesionismo. Soprattutto, però, il film è un’accusa contro il rifiuto di tanti organismi e istituzioni di farsi carico dei casi più complessi, che finiscono per restare troppo a lungo in luoghi inadatti. Le organizzazioni di Benhamou e Tatou cercano di dare una risposta a questi problemi gettando, spesso, il cuore oltre l’ostacolo: i loro appartamenti accolgono più persone di quante potrebbero e non tutti gli educatori sono diplomati. Anche questo, però, è frutto di una scelta: “La maggior parte degli assistenti vengono a quartieri meno agiati. Hanno familiarità con la violenza, ne ricevono dai loro assistiti autistici, senza rivoltargliela contro”, ha spiegato Nakache. Così molti di quei giovanissimi operatori, come le stesse persone disabili, hanno trovato un ruolo nel film. «Per una persona che non conta troppo nella nostra società diventare un assistente è una parabola molto interessante. Tra l’latro, alcuni di loro si sono scoperti anche attori bravissimi. Per noi è stato chiaro sin da subito: dovevano recitare nel film”.

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