30 aprile 2015 ore: 15:25
Economia

Arrivano i nuovi ammortizzatori sociali. "Ma contro la povertà non bastano"

I sussidi per i disoccupati previsti dal Jobs act (Asdi, Naspi, Dis-coll) in vigore dal primo maggio, ma serviranno a poco per combattere l’indigenza: un povero su tre non vedrà alcun beneficio, dice l’economista e tra gli autori del Reis Massimo Baldini
Povertà. Mano con soldi

ROMA - Bene l'impegno del governo sui nuovi ammortizzatori sociali, ma le riforme che riguardano il mondo del lavoro non bastano per combattere la povertà in Italia: disoccupazione e povertà non sempre coincidono e poco meno di una persona povera su tre non può migliorare le proprie condizioni economiche col lavoro. 

- A poche ore dall'entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali voluti dal governo Renzi, Massimo Baldini, docente di scienza delle finanze presso l'università di Modena e membro del comitato tecnico che ha messo a punto il Reis (Reddito per l'inclusione sociale), fa il punto con Redattore sociale sulle attuali politiche messe in campo per arginare gli effetti della crisi economica sulla popolazione italiana. Tra proposte di reddito minimo e interventi a sostegno dei disoccupati, emerge una "torsione in chiave lavoristica" degli strumenti messi in campo dall'attuale governo. Una tendenza che, sebbene necessaria, rischia di essere insufficiente rispetto alla platea di persone in difficoltà. Per Baldini, però, bisogna prima superare un "equivoco di fondo": "Il campo di chi ha problemi col lavoro e l'ha perso, non coincide necessariamente con l'area della povertà. Il governo ha fatto tanto per i redditi bassi sia col bonus che incentivando l'occupazione", tuttavia, per combattere anche la povertà le attuali misure in campo "non bastano".

Dal primo maggio, infatti, saranno attivi la Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’Impiego (Naspi) che va a sostituire gli attuali sussidi di disoccupazione, il nuovo assegno di disoccupazione (Asdi) e l’indennità Dis-coll, riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi e a quelli a progetto iscritti in via esclusiva alla Gestione separata dell’Inps, non pensionati e privi di partita Iva. La Naspi sostituirà le attuali Aspi e mini-Aspi, nei casi di perdita involontaria del posto di lavoro e interesserà tutti i lavoratori dipendenti, con la sola esclusione degli assunti a tempo indeterminato dalle pubbliche amministrazioni e degli operai agricoli, che continueranno ad avere una normativa specifica.

I disoccupati che riceveranno la Naspi dovranno avere almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti e dimostrare di aver lavorato regolarmente per almeno 30 giornate nell’ultimo anno. Il contributo è legato alla retribuzione media mensile (circa il 75 per cento per retribuzioni medie uguali o inferiori a 1.195 euro e con un tetto massimo di 1.300 euro per retribuzioni medie superiori). La Naspi, inoltre, viene ridotta del 3 per cento ogni mese dal quarto mese, durerà 24 mesi fino al 2016, poi soltanto un anno e mezzo. Una ulteriore tutela a chi dopo il Naspi si trova ancora in condizioni di disagio è previsto dall’Asdi che da domani viene introdotto in via sperimentale con uno stanziamento di 200 milioni di euro per il 2015 e altrettanti per il 2016. Per l’Asdi la durata massima è di sei mesi e si riceverà il 75 per cento della Naspi, calcolato sull’ultimo trattamento, ed è condizionato alla partecipazione di corsi e ricerca attiva di un lavoro. Infine il Dis-coll, corrisposto per un numero di mesi pari alla metà di quelli di contributi versati prima della disoccupazione. Il calcolo del contributo è simile al Naspi e anche in questo caso l’erogazione è condizionata. 

Nonostante in questi anni sia aumentata la spesa per gli ammortizzatori sociali, però, per Baldini siamo lontani dall'Europa quando si parla di famiglia, bambini, esclusione sociale e casa. "Come spesa sulle politiche passive abbiamo recuperato gran parte del gap con l'Unione europea - aggiunge -. In questi anni di crisi è aumentata molto la spesa per gli ammortizzatori sociali, sia con i governi di centro destra che centro sinistra. Prima si è semplicemente allargato le maglie della cassa integrazione in deroga e poi ci sono state le riforme strutturali degli ammortizzatori sociali col Jobs Act". Nonostante tutto, c'è un "buco" e riguarda l'esclusione sociale. "C'è tutta l'area della povertà che in parte coincide con chi riceve gli ammortizzatori ma è molto più ampia. Su questi si è fatto pochissimo. La carta acquisti ordinaria (la vecchia social card, ndr) non copre quelle famiglie che non hanno anziani o bambini molto piccoli e il gap con quanto servirebbe per contrastare la povertà assoluta stimata dall'Istat è evidente. Per l'istituto di ricerca servono miliardi, mentre la social card ha ricevuto risorse per qualche centinaio di milioni".

La "torsione lavoristica", però, nel nostro paese è necessaria, spiega Baldini. "In paesi come l'Italia, in cui c'è molta economia sommersa e la povertà è concentrata in molte zone del Sud, è inevitabile. Reddito minimo o nuova social card hanno qualche speranza di fare passi avanti soltanto se fortemente condizionati, più di quanto avviene nel resto d'Europa. Condizionati non solo al reddito della famiglia, ma anche all'impegno dei beneficiari, altrimenti non ha speranza". Tuttavia, lo stretto legame col mondo del lavoro non può riguardare tutti i poveri in maniera indiscriminata. A conti fatti, spiega Baldini, poco meno di un povero su tre non potrà uscire dalla condizione di povertà con il lavoro. Ma i dati, in quesco caso, vanno usati con una certa cautela.

"Se prendiamo la povertà relativa in Italia - spiega - le famiglie che potrebbero uscire dalla povertà con il lavoro sono circa il 60 per cento. Se parliamo di povertà assoluta, la percentuale sale al 70 per cento, perché la soglia è più bassa. Il problema di queste percentuali, però, è che si tratta di un massimo teorico potenziale. Nelle indagini campionarie non vediamo le condizioni di salute delle persone, e non vediamo neanche la domanda di lavoro nella zona in cui risiede la popolazione in povertà. Un conto è essere disponibili a lavorare al Nord. Un altro conto è al Sud. Non dipende soltanto dalla volontà del singolo. Il lavoro rimane sempre fondamentale: è una via d'uscita dalla povertà, ma magari fosse tutto lì". A conferma del dato italiano, anche quanto succede in Francia, dice Baldini, dove a circa 2,4 milioni di famiglie viene dato il "reddito di solidarietà attiva". "Nel 2014 - aggiunge - quasi il 40 per cento delle femiglie lo riceve da più di 4 anni. Questo significa che c'è un nucleo di famiglie che non ce la fa ad uscire dall'assistenza".

Per questo, spiega Baldini, occorre affiancare strumenti appropriati alle attuali politiche legate al mondo del lavoro. "Sembra arrivato il momento per un piano nazionale - aggiunge -. Ne parlano tutti e speriamo che le risorse ci siano. Non so bene se riusciremo a deciderlo prima della legge di stabilità. Tutto dipende da come andrà l'economia in questi mesi". E non è detto che si debba necessariamente iniziare da zero. La proposta di una nuova social card potenziata e diffusa su tutto il territorio nazionale piace a Baldini. "La nuova social card è stato un passo avanti, ma è sperimentale e in alcune città non sono neanche riusciti a spendere tutti i soldi disponibili. Nonostante la sperimentazione del Sia sia ancora così fragile, se venisse estesa in tutta Italia e dotata di un finanziamento stabile sarebbe già una rivoluzione. Io sarei molto favorevole".

Tocca aspettare, quindi, di capire quali saranno i trend dell'economia globale. "E' paradossale che le politiche contro la povertà si facciano quando l'economia va meglio e non quando va peggio - conclude Baldini -. Se l'economia dovesse migliorare, ed è probabile, allora penso che si farà qualcosa. Penso che almeno quel che c'è oggi sarà portato avanti".(ga)

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