20 aprile 2015 ore: 15:02
Immigrazione

Asgi boccia i centri identificazione in Africa: “Un limbo da cui non si esce più”

Secondo Chiara Favilli, esperta di diritto europeo, sarà difficile garantire un reale accesso alla protezione internazionale in paesi che non rispettano i diritti. “Il rischio è che ci si riduca a un esame sommario delle domande ai fini dello smistamento”.
www.fabriziovilla.it Immigrazione: gruppo di irregolari su barca (Fabrizio Villa 8)

Foto di Fabrizio Villa

ROMA -  “Siamo molto scettici sulla possibilità concreta di realizzare centri che siano effettivamente dei luoghi di accoglienza e smistamento delle domande d’asilo. Il rischio è di limitare l’accesso alla protezione internazionale e di spostare il problema sulle vittime, limitando così la loro possibilità di partire”. A sottolinearlo è Chiara Favilli, docente di diritto dell’Unione europea all’università Lumsa di Roma e membro dell’Asgi (associazione studi giuridici sull’immigrazione), che contesta così l’ipotesi in queste ore al vaglio del governo e sostenuta da varie ong, di creare punti di raccolta e smistamento dei richiedenti asilo nei paesi africani, come possibile risposta al naufragio di sabato notte costato la vita a 700 migranti che tentavano di raggiungere le coste della Sicilia.

Secondo l’esperta dell’Asgi il primo problema è quello del reale accesso al diritto d’asilo in paesi che non sempre rispettano i diritti umani. L’ipotesi del governo prevede infatti che ad essere coinvolti siano la Tunisia, il Niger e il Sudan. “Sono paesi diversissimi tra di loro, il Niger è un paese in grandissima difficoltà, mi sembra impossibile che si possa trovare lì un interlocutore attendibile su questo fronte – aggiunge Favilli -. In ogni caso sarebbe difficile controllare che nei centri di identificazione possa esserci un reale accesso al diritto d’asilo: garantire, cioè, che chiunque abbia la minima possibilità di richiedere protezione sia davvero accolto e messo nella condizione di fare la richiesta”. Le domande di asilo e di protezione internazionale hanno un iter lungo e complicato. “Il rischio è che venga fatto un esame sommario, che tenga conto solo dei paesi di provenienza anziché della situazione individuale del richiedente. Chi garantisce, poi, che queste persone siano messe in condizioni di spiegarsi in una lingua comprensibile? – aggiunge Favilli – E’ molto difficile che questo possa accadere in centri molto grandi”. A preoccupare è anche che venga limitata la possibilità di fare ricorso: “non vogliamo che questi centri diventino una sorta di limbo da cui non si esce più”.

Ma la possibilità di un’analisi delle richieste potrebbe naufragare sul nascere in assenza di un accordo tra i paesi europei.  Nei 28 paesi dell’Unione europea – spiega l’esperta dell’Asgi – ci sono, infatti, moltissime differenze nelle modalità di accoglienza e di recepimento delle domande d’asilo, l’analisi si basa sulla legislazione internazionale ma anche sulle direttive comunitarie e in alcuni casi anche sulla legislazione nazionale. “Esiste un quadro comune di riferimento ma se si vanno a vedere  i tassi di accoglimento delle domande sono molto diversi da nazione a nazione. In Italia, per esempio, abbiamo una protezione che va al di là del quadro europeo e che è garantita anche dalla Costituzione. In altri paesi non è così. Non capisco come si possa pensare di trovare improvvisamente un sistema ottimale che garantisca gli stessi criteri per tutti – aggiunge Favilli – L’esame di una richiesta d’asilo mal si presta a un trattamento sommario all’estero ai fini di uno smistamento . La pratica dell’esternalizzazione è stata ribadita a livello di unione europeo diverse volte, nel 2003 fu presentato un documento ufficiale in tal senso ma alla fine l’ipotesi è stata sempre respinta perché quasi impossibile”. L’altro problema che si pone è dove mandare le persone che hanno diritto all’asilo in assenza di un accordo tra i paesi “in questo momento non esiste nessuna disposizione europea in tal senso – continua Favilli – serve dunque prima che tutti gli Stati siano concordi”.

Chi potrebbe garantire? Secondo l’ipotesi annunciata dal ministero dell’Interno ad occuparsi dei centri dovrebbero essere l’Oim e l’Unhcr. “Il fatto che l’Unhcr sia coinvolto è già una garanzia ma non basta – spiega ancora Favilli – per un progetto del genere servono strutture dotate di molti mezzi umani ed economici , solo così i centri potrebbero essere davvero efficienti. Escludo anche che le nostre rappresentanze diplomatiche possano essere soggetti in grado di garantire l’accesso alla protezione perché a malapena riescono a svolgere i loro compiti. Si rischia, invece, che questi centri vengano presi d’assalto, come unica via all’accesso in Europa e che ci sia il caos”.

La vera emergenza è la lotta i trafficanti. “L’unico modo per evitare altre stragi è stroncare le reti dei trafficanti – conclude Favilli – la risposta  non è limitare la possibilità delle persone di partire. Così si sposta solo il problema sulla vittima impedendole di accedere a un diritto. Mentre è sul contrasto ai trafficanti che vanno concentrati gli sforzi di cooperazione con i paesi africani”. (ec)

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