Assistenti familiari immigrati affezionati agli italiani
“In un paese in cui la popolazione diventa sempre più anziana – ha detto Pittau - bisogna occuparsi anche delle persone che si prodigano per il nostro benessere. Nella ricerca di UniCredit Foundation a impressionare maggiormente è l’affetto nutrito da colf e badanti nei confronti degli italiani in maniera pressoché generalizzata. Serve una risposta di reciprocità da parte degli italiani, con lo sforzo di apprezzare lo svolgimento di funzioni umili nonostante il livello di scolarizzazione spesso elevato; interessarsi ai membri delle loro famiglie lasciate per forze di cose nel paese di origine e causa di nostalgia e di preoccupazioni; rispettare la normativa del lavoro e gli obblighi previdenziali, per non pregiudicare i loro diritti; favorire le esigenze di socialità compatibili con l’orario di lavoro stabilito contrattualmente, senza farne dei semireclusi”.
“La figura professionale degli assistenti familiari – ha proseguito Pittau - è una delle realizzazioni più significative dell’esperienza migratoria italiana. Infatti, la presenza di queste persone ha favorito l’emancipazione delle donne italiane e ha consentito di realizzare un’assistenza ramificata, sopperendo alle carenze delle istituzioni, in grado di raggiungere solo una minima parte di quanti hanno bisogno. Lo Stato si è limitato a consentire l’ingresso di questi immigrati (iniziato senza clamore già negli anni ’60 per opera dei missionari italiani presenti in alcuni paesi di emigrazione), o a riconoscerlo a posteriori attraverso le regolarizzazioni (ben 400mila domande in quelle del 2009 e del 2012). A far fronte alle spese sono, però, le famiglie con le loro risorse, che surrogano lo Stato italiano che non può farsi carico della copertura totale del modello scandinavo”.
Ma, ha osservato Pittau, “la riflessione sul futuro presenta molti motivi di preoccupazione. In effetti, lo scenario è preoccupante perché si compone di un numero crescente di anziani (saranno ben un terzo della popolazione a metà secolo), di una diminuzione dell’importo delle pensioni (di molto inferiori a quelle ottenute con il precedente regime retributivo), di un impoverimento del sistema paese (che dal 2008 ad oggi ha perduto sette punti percentuali di Pil), delle minori risorse da dedicare all’assistenza pubblica, della diminuzione del reddito delle famiglie e della riduzione del numero degli occupati. Nasce, quindi, l’interrogativo se nel futuro sia possibile ricorrere in maniera così diffusa ai collaboratori familiari come avviene attualmente o se l’attuale modello di assistenza sia destinata a entrare in crisi”.
Di fronte a questo scenario diventa quanto mai necessaria una visione d’insieme, “che tenga conto del potenziamento degli aiuti pubblici e degli sgravi alle famiglie, affinché i nuclei con un reddito medio basso possano continuare a ricorrere alle collaboratrici familiari immigrate”.
Pittau ha poi affrontato la questione della riqualificazione del lavoro degli assistenti familiari immigrati: “Il ruolo di assistenti agli anziani comporta sempre più competenze di natura sanitaria, che, possono essere apprese in qualche modo anche con l’esperienza, ma che ancor di più si acquisiscono con la formazione di cui il settore pubblico dovrebbe maggiormente farsi carico”. Inoltre, ha concluso Pittau, “meritano di essere approfonditi i vantaggi che si possono ottenere con il servizio familiare prestato in maniera associata, come avviene con le cooperative che si occupano del servizio alle famiglie (anche unitamente ad altri servizi) anche nell’ottica di garantire meglio la stabilità del posto di lavoro e di incrementare la formazione del personale”.