Assistenti sociali: "Noi in frontiera, cresce l'aggressività"
- BOLOGNA - “Ristrettezze sia di finanza pubblica sia di finanza privata ci obbligano a lavorare in un quadro emergenziale. Indubbiamente i problemi sono tanti, ma di conseguenza sono tante anche le opportunità. Basta decidere se vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno”. A parlare è Gianmario Gazzi, neoletto presidente del Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali. “A oggi molti servizi per le fasce più deboli sono stati chiusi o ridotti, magari a favore di un’erogazione economica. Ma quello che davvero bisogna fare è offrire opportunità, percorsi specifici e duraturi per uscire da uno stato di bisogno: ora come ora non si riescono più a costruire, non ci sono spazi di manovra. I colleghi possono solo tamponare emergenze con armi spuntate”. Prende come esempio un minore con una situazione critica in famiglia (una famiglia chiamata ad affrontare una crisi passeggera, non in condizioni patologiche gravi) che si rivolge ai servizi sociali dell’ente locale, “che però non hanno strumenti per aiutarlo, perché non ci sono più servizi intermedi, non ci sono centri diurni, non c’è personale a disposizione, non c’è nemmeno un sussidio economico. E se questo ragazzo non ha un supporto familiare o della comunità, senza nemmeno l’intervento dei servizi, vedrà la sua situazione degenerare. Una degenerazione che porta ad altre spese: accoglienza in strutture, sfratti. Se non possiamo aiutare le persone quando ne hanno bisogno, stiamo soltanto spostando il problema più avanti”.
“Silvana Mordeglia, ex presidente dell’Ordine, in un intervento disse che i servizi sociali sono una sorta di linea Maginot. Ha perfettamente ragione”, continua Gazzi. Un lavoro di frontiera, che negli ultimi anni è stato chiamato a confrontarsi con fenomeni di aggressività crescente: non solo minacce e parolacce, ma vere e proprie aggressioni fisiche e uffici distrutti. “Perché alla fine – commenta amaro Gazzi –, a chi tocca dire di no? Certo problemi di sicurezza si sono sempre registrati, soprattutto nel caso di persone con problemi psichiatrici, ma oggi le dimensioni di questo fenomeno stanno lievitando”. Il presidente parla di uffici senza vie di fuga, con le sbarre alle finestre: “C’è chi sostiene che il nostro lavoro, per definizione, comporti una percentuale di rischio. Io rifiuto questa lettura: noi dobbiamo lavorare con la tranquillità di chi opera a favore delle persone”. E lancia un appello per la promozione di una cultura della dignità del lavoro.
Un altro aspetto del lavoro odierno degli assistenti sociali riguarda l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, persone che – spiega Gazzi – in buona parte diventeranno stanziali. “Si parla tanto di politiche di inclusione. Ma se non ci sono persone e professionisti che danno corpo a queste politiche, a che servono? Temo che la filosofia del ‘laissez faire’ non porti a grandi successi”. E ricorda quanto è successo – e succede – nelle banlieu francesi, terreno fertile per gli estremismi. “Come possiamo non affrontare le periferie umane? Aspettiamo che succeda qualcosa per decidere? Queste sono domande che noi ci poniamo quotidianamente, ma qualcuno deve aiutarci: dobbiamo guardare insieme quello che tecnicamente si chiama ‘il piano di realtà’. Per questo chiediamo di metterci attorno a un tavolo in forma propositiva, perché qualcosa si sta facendo, ma solo da un punto di vista normativo. Ma non è possibile affermare diritti senza strutture adeguate che poi li possano effettivamente realizzare”.
La realtà spesso fotografa singole assistenti sociali (professione al 97 per cento femminile) che lavorano su bacini anche di 20, 30 mila persone: “Teoricamente il rapporto dovrebbe essere inferiore, ma i conti sono presto fatti: se quell’una manca, ce ne sarà un’altra che vedrà raddoppiato il carico. Di conseguenza, è molto difficile intervenire tempestivamente”. Con il blocco dei concorsi e le maternità che non vengono sostituite, il personale non è sufficiente.
Ma, come detto, tante difficoltà possono essere sinonimo di tante opportunità. Quali sono gli ambiti di impiego per il futuro? “Stiamo lavorando moltissimo sulla presenza degli assistenti sociali negli studi di medicina generale. Da tempo si chiede ai servizi una maggiore integrazione socio-sanitaria, noi andiamo in quella direzione”. Naturalmente c’è anche il servizio in ospedale, sebbene i tagli alla sanità lo stiano riducendo. E poi sta crescendo la libera professione: “E noi vigiliamo attentamente, perché non vogliamo che la libera professione diventi una scusa per esternalizzare funzioni dell’ente pubblico”.
Intanto, oggi si festeggia la Giornata mondiale del servizio sociale: “Ricopro questo ruolo solo da due settimane, e sono molto orgoglioso. Tutte le regioni hanno scelto di celebrare questa ricorrenza, e non potrei esserne più felice: ho trovato una categoria fatta di giovani uniti e motivati, atteggiamento che dà tanta soddisfazione ma anche un grosso senso di responsabilità. Il nostro è un lavoro bellissimo, e vorrei tanto che tutti capissero che noi ci impegniamo per le persone, per sviluppare i loro diritti e renderli esigibili. Perché cambiare si può”. (Ambra Notari)