Autismo, clown in corsia: Clelia diventa "Dottoressa in blue"
- ROMA – Clelia ce l'ha fatta, ha realizzato il suo sogno: da qualche giorno, è “Dottoressa in blue”. Perché vestendo i panni del clown in corsia, per portare il sorriso e la leggerezza tra chi sta soffrendo, Clelia si chiamerà così, “in onore dei ragazzi autistici come me”, ci spiega. Il sogno che ci raccontava un anno fa, mentre frequentava il corso per diventare una “volontaria del sorriso” in ospedale, lo ha coronato il 3 ottobre scorso, quando la commissione ha pronunciato la parola “promossa”. Così Clelia ora veste il camice da dottore, ma non cura le malattie: cura la tristezza e la paura, testioniando con la sua stessa presenza che tutto è possibile e nessun ostacolo è mai troppo alto. Tanto che perfino una ragazza con autismo che, seppur lieve, comporta comunque qualche problema di socializzzione e comunicazione, può donare il suo tempo agli altri, portando il sorriso tra le corsie dell'ospedale.
Clelia ha 29 anni e vive a Mirano, in provincia di Venezia. Aveva 4 anni quando le fu diagnosticata una forma di autismo. “Ho iniziato varie terapie come logopedia, psicomotricità, musicoterapia e ippoterapia ci racconta - Ho fatto terapia fino a 17 anni, in vari posti. L’ultimo anno, al Bosisio Parini di Como. Oggi, non faccio più terapia, ma sono sotto psicofarmaci, che mi tengono calma e serena. Perché prima di prenderli, ero molto nervosa e alzavo spesso le mani”.
Clelia |
L’idea di diventare “dottor Clown” le è venuta quando frequentava la scuola media. “Sono andata all'ospedale per una crisi di panico e sono stata lì dentro per 10 giorni. Venivano i dottori Clown a farci sorridere e da quel momento mi sono decisa ad aiutare il prossimo più bisognoso e meno fortunato di me”. Dopo aver fatto qualche esperienza come animatrice in corsia, Clelia ha così deciso di “diventare per sempre un dottor clown” e ha iniziato l'anno scorso a frequentare il corso: 5 incontri, poi tre mesi di tirocinio e l'esame finale, per diventare “clown a vita”.
L’autismo, per Clelia, non rappresenta un problema grave: lo ha accettato e ha imparato a conviverci, anche grazie alle terapie, alle tecnologie e agli impegni che, con l'aiuto della mamma, si sta assumendo “per non stare sempre a casa senza far nulla - ci dice – Ho difficoltà a relazionarmi con gli altri, ma non con tutti. Ho pochi amici, ma riesco a comunicare abbastanza bene, un po’ con la scrittura facilitata, un po’ verbalmente. A dire la verità – continua Clelia - il mio autismo non mi rende mai le cose difficili, è una forma lieve. Ma so quali sono i miei limiti, che devo smettere di arrabbiarmi per niente e che devo accettare gli scherzi, ma a volte non riesco proprio a capirli e a sopportarli”.
Clelia con i colleghi |
Gli scherzi, però, quelli che fanno ridere, a Clelia piacciono. E per questo oggi è la “Dottoressa in blue”. “Lunedì 3 ottobre alle 17 ho iniziato il colloquio finale, insieme a mia mamma. Appena ha saputo che ero stata promossa, mi ha abbracciato, si è messa a piangere e mi ha detto che era orgogliosa di me. Finalmente domenica 9 ottobre alle 11 del mattino, mi hanno consegnato il camice bianco e ho detto un augurio a tutti i miei colleghi dottori clown”.
Dediche a Clelia da parte dei colleghi |
Diventare “Dottoressa in blue” significa avere un riconoscimento, un vero e proprio attestato, che “da tirocinante mi fa passare a un grado più alto: significa anche che posso essere d'esempio anche ad altri tirocinanti”, ci spiega Clelia, che svolge il suo servizio ogni venerdì dalle 19 alle 21 e “alcuni giorni vado con i miei colleghi dottori clown anche in casa di riposo dagli anziani e li faccio divertire, facendoli rivivere i loro giorni da giovani e spensierati ragazzi di un tempo e con loro cantando le loro canzoni d'epoca”.
Ora che è la “Dottoressa in blue”, Clelia ha intenzione di “andare nei vari ospedali d'Italia a portare gioia, sorrisi e tanta allegria a chi soffre. Mi impegnerò molto a dare una mano e andare dove c'è più urgenza di portare sorrisi nei momenti di difficoltà. Di sicuro dedicherò tanto tempo, perché è una cosa che sognavo da tanto e finalmente si è realizzata. Mi piace anche vedere mia mamma orgogliosa di me, giorno dopo giorno: la felicità di mia mamma è la mia forza”. Altri progetti per il futuro? “Sicuramente voglio aiutare i ragazzi, i bambini e gli adulti autistici gravi o meno gravi ad essere sereni e a non vergognarsi di essere autistici, ma a vivere il loro autismo in modo sereno e gioioso. Ci saranno momenti tristi, ma ci saranno sempre i genitori ad aiutarci nei nostri percorsi. E quando i nostri genitori non ci saranno, noi ragazzi dovremo andare avanti da soli e ricordare i nostri genitori con il cuore”. (cl)