Autismo, la diagnosi precoce è possibile. Nida studia i “campanelli d'allarme” nel pianto
ROMA – L'autismo non si cura, ma tanto si può fare, se diagnosi e cura sono precoci: è questo uno dei temi ricorrenti, oggi, al 1° Convegno nazionale di Aira, l'associazione italiana di ricerca che si pone l'obiettivo di studiare scientificamente l'autismo e diffondere teorie e approcci che siano basati su “evidenze”. “Non esiste una terapia farmacologica o comportamentale mirata a curare in toto la sintomatologia dell'autismo – ha ribadito Maria Luisa Scattoni, socia fondatrice di Aira e coordinatrice di Nida, il network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico – L'unica cosa certa è che la precocità di diagnosi e intervento è in grado di limitare gli effetti di deficit sociale, comunicativo e cognitivo. La precocità è quindi fondamentale per l'inclusione sociale e lavorativa”. Il problema è che, “nonostante ci siano diversi test in grado di fare una diagnosi intorno ai 2 anni, un'indagine Censis rileva che in Italia occorrono in media 4-5 anni. E sono spesso i genitori i primi a rilevare i cosiddetti campanelli d'allarme, spesso anche prima del primo anno di vita”.
La ricerca si sta quindi muovendo in questa direzione. Nida, come network italiano dedicato proprio alla diagnosi precoce dell'autismo, individua nel pianto e nel movimento spontaneo del neonato un ambito di ricerca rilevante e significativo. Ed è questo uno dei progetti che Scattoni ha illustrato nel corso del convegno: “Reclutiamo bambini a casso rischio e ad alto rischio – ha riferito – I primi appartengono a famiglie senza diagnosi di autismo, gli altri invece sono fratelli e sorelle di bambini diagnosticati, i quali, come sappiamo, hanno circa il 25% di possibilità di essere a loro volta diagnosticati”. I ricercatori seguono poi i bambini reclutati “longitudinalmente, dalle prime settimane ai 36 mesi. Sopratutto nel promo periodo – ha riferito Scattoni – le osservazioni e le registrazioni avvengono, in modo assolutamente non invasivo, in casa della famiglia”. I dati sono ancora pochi, ma il progetto è in crescita: “Studiano la frequenza del pianto, la prosodia della voce e i primi movimenti spontanei – riferisce infatti Scattoni – stiamo infatti rilevando quanto questi indicatori siano significativi e in che misura possano quindi aiutare a individuare, fin dai primi mesi, quei campanelli d'allarme fondamentali per arrivare a quella diagnosi precoce, che è il nostro obiettivo primario”. (cl)