Autistico cacciato da scuola per aver morso l’insegnante: in classe 14 ore in 7 giorni
ROMA – Prima lo emarginano, poi lo cacciano, perché è “troppo grave”: è l’ennesima storia “finita male” tra la scuola e l’autismo. A raccontarla è, come quasi sempre accade, una mamma esasperata dalla discriminazione subita da suo figlio, per l’incapacità e l’incompetenza di chi dovrebbe favorirne l’inclusione. Ma che, per mancanza di formazione o di sensibilità, finisce per escluderlo. La racconta in una lettera inviata al portale “Pernoiautistici”, che subito la rilancia, con un titolo sdegnato di Gianluca Nicoletti: “Messo fuori dalla scuola (incapace a trattarlo) il ‘feroce’ autistico che morde”.
La storia è emblematica, nella forma e nella sostanza. Nella forma, perché la mamma la racconta sotto forma di lettera, prestando la sua voce al figlio, fingendosi lui, facendo cioè quello sforzo di empatia che l’autismo impone per essere compreso e comunicato. La lettera, quindi, è in prima persona, a nome del ragazzo. “Sono Vittorio e ho 12 anni. Sono speciale, molto speciale – così s presenta la mamma-figlio - Non parlo, ma ho voglia di essere ascoltato da tutti perché ho tante cose da dire. La gente presta orecchio solo alle parole pronunciate e troppo spesso non ha voglia di leggere nel mio cuore, nei miei occhi o nei miei silenzi”.
E qui arriviamo alla “sostanza” della storia, emblematica perché tutt’altro che unica o isolata. “Quest’anno ho cominciato la prima media o meglio: l’ho già finita, perché la scuola per me è iniziata il 14 settembre ed è finita il 23. Ho frequentato in tutto 14 ore. Che fortuna diranno in tanti! Invece no, perché io non voglio restare a casa e mi piace la compagnia degli altri bambini. Sono stato catapultato in un posto che non conoscevo, con insegnanti nuove, impreparate e poco disponibili ad accogliermi e a trattare con la mia malattia, che è l’autismo. Diciamolo chiaramente: uno come me non è il benvenuto a scuola. Ho difficoltà ad apprendere, e non lo faccio dai libri, come tutti. Io imparo e parlo attraverso l’uso di simboli ed immagini, che bisogna conoscere ed utilizzare costantemente”. Così la mamma, prestando la propria voce al figlio e prendendo da lui in prestito lo sguardo, racconta cosa avviene quando suo figlio non è adeguatamente seguito e aiutato: “Le parole dette in una lezione normale si sommano come suoni vuoti e fastidiosi, in un crescendo di tensione che ad un certo punto non reggo più, perché senza le immagini, io non capisco. Vorrei scappare via”.
- E’ accaduto così che, giusto all’inizio dell’anno scolastico, Vittorio abbia perso la pazienza e abbia lanciato una sedia, “per farti capire”. Tanto è bastato perché fosse allontanato dalla classe e spedito, da quel giorno in poi, “in un’ auletta da solo, con persone che non vedevo più come insegnanti, ma carceriere”. Non l’ha presa bene, Vittorio: “All’arrivo a scuola, vedevo i miei compagni di classe andare in aula tutti insieme ed io da solo in un’altra stanza. Giorno dopo giorno ci sono venuto sempre meno volentieri, senza il mio solito sorriso e comprendendo chiaramente che le persone adulte non mi volevano”.
Il 23 settembre è “esploso”, come accade spesso ai ragazzi con autismo, quando non si trova il modo e la strada per arrivare al loro cervello e al loro cuore: in quell’auletta, ha dato un morso alla sua insegnante di sostegno. “E’ successo il finimondo. La mia mamma è stata chiamata d’urgenza. Mi ha trovato in aula professori spaventatissimo, da solo; tutto il corpo insegnante intorno alla professoressa che si scaraventava su di lei dicendole “Guarda che cosa mi ha fatto tuo figlio!!” La mamma mi ha portato via e mi ha abbracciato forte. Poi riunioni, parole, scuse e promesse: la scuola non è preparata a casi così gravi”.
Così ora Vittorio sta a casa e la sua mamma è triste, preoccupata, delusa. Anche perché, finora, le difficoltà non erano certo mancate, ma era stato sempre possibile superarle. “Ma io sono sempre andato a scuola ed ero ben inserito con i miei compagni e maestre – racconta Vittorio tramite la mamma - Alla scuola media sapevano da mesi che sono un bambino autistico. Si erano fatte mille raccomandazioni sulle modalità comunicative da utilizzare con me, suggeriti corsi da fare, consegnate relazioni specifiche su come imparare a conoscermi. Nessuno è preparato o ha voglia di prepararsi. Non hanno fatto nulla”.
E’ una storia tanto brutta quanto comune: all’origine c’è la superficialità con cui insegnanti di sostegno non preparati, né tantomeno specializzati, vengono messi al fianco di ragazzi che hanno bisogno di essere compresi, capiti e accolti con strumenti e linguaggi adeguati. “È l'ennesima storia di incompetenza – conferma Angsa di Biella - I miei educatori vengono "morsicati" anche loro, ma sanno perché succede e lavorano col bambino, la scuola e la famiglia perché non succeda più. Non vanno certo in infortunio per questo. È conseguenza di una ‘scelta’ di lavoro!”. una scelta che, evidentemente, non sta dietro le assegnazioni di quei posti di sostegno, ancora troppo spesso utilizzati come “trampolino” verso la cattedra, possibilmente fissa.
Abbiamo informato del caso il ministero dell’Istruzione, a cui abbiamo anche di farci sapere cosa ne pensa di questa lettera, di questa storia e delle tante storie che essa rappresenta. Per ora, nessuna risposta. (cl)