Banca del dna per identificare i migranti morti in mare: richiesta delle famiglie
ROMA – Identificare i migranti morti in mare è un’impresa difficile e delicata. Ma per dare risposta alle famiglie che si interrogano sulla sorte dei propri cari, senza documenti identificativi disponibili, senza effetti personali o segni particolari, non resta che utilizzare il test del dna e compararlo con i parenti più stretti.
Da diversi anni, le famiglie delle vittime e le associazioni si battono per la creazione di banche dati che permettano di ritrovare i familiari morti. Boats4people è una di queste associazioni, che dichiara a Rue89: “Chiediamo la sistematizzazione dell’identificazione di ogni cadavere ritrovato in mare, in Italia come in Tunisia, e la creazione di una banca del dna che possa essere utilizzata da tutte le famiglie che sono alla ricerca dei loro cari”
- Una ricerca universitaria sul tema. In quest’ottica, nel 2014, tre università britanniche hanno svolto una ricerca per capire che fine fanno i corpi dei migranti morti in mare. L’obiettivo del rapporto: “incitare i poteri pubblici ad informare le famiglie del destino dei migranti scomparsi”.
Lo studio in particolare si è svolto a Lesbo, una delle isole greche più vicine alla Turchia, e ha mostrato come i corpi ripescati o arrivati sulle coste dell’isola vengono portati nell’ospedale locale, che però “non dispone delle infrastrutture necessarie (in termini di camere mortuarie) per conservare i corpi più di due giorni”. Questa situazione fa sì che avvenga una sepoltura rapida in una tomba anonima, senza possibilità di identificazione preventiva. Tanto più che nessun fondo locale, nazionale o europeo è stato stanziato per l’identificazione e non esiste una legislazione chiara in merito alla raccolta.
“In ogni caso, anche se la polizia raccogliesse il dna, ad oggi la cosa non permetterebbe l’identificazione perché i dati post mortem non sono collegati ad una tomba determinata - dichiarano i ricercatori dello studio -. Più volte, alcune famiglie cercano di localizzare le spoglie dei loro cari, anni dopo la loro morte, e si scontrano con l’assenza di catalogazione sistematica dei luoghi corrispondenti alle sepolture, rendendo l’esumazione impossibile”. Sulla base di questo studio i ricercatori chiedono la creazione di una banca dati sovranazionale gestita dalle istituzioni europee o da un altro organismo internazionale, che preveda la raccolta sistematica di un campione di dna, così come dei dati post mortem, dei vestiti e degli effetti personali, dei segni particolari e - approssimativamente - a quale naufragio ricondurli, in modo da massimizzare le possibilità di identificazione.
I rischi legati all’identificazione tramite dna. Tara Brian, che lavora per l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) è d’accordo in linea di principio con il prelievo del dna e la creazione di una banca dati, ma ritiene che si debba stabilire chiaramente quale sia il fine ultimo di tale raccolta di informazioni: l’identificazione dei migranti morti per poter riconsegnare i corpi ai familiari che ne facciano richiesta. “Questo deve essere l’unico scopo. Le informazioni devono restare confidenziali e scollegate dalle questioni del controllo delle frontiere”.
Anche Marie Martin, della Euro-mediterranean human rights network dichiara di “comprendere il bisogno delle famiglie di conoscere cosa è accaduto ai propri figli” ma resta scettica su una serie di questioni: “Chi avrà accesso ai dati? Chi li centralizzerà? Per quanto tempo resteranno archiviati? In Francia il diritto di accedere alle informazioni è regolamentato dal Cnil (Commissione nazionale di informatica e delle libertà) ma in Turchia ad esempio non esiste una legge sulla protezione dei dati sensibili. Oggi la raccolta del dna si iscrive in un contesto dove la biometria può essere utilizzata per il controllo dei flussi migratori. Chi mi assicura che non ci sarà una collaborazione con l’Europol? L’Eurodac, la banca dati che raccoglie le impronte digitali dei richiedenti asilo, dal 2012 può essere utilizzata dall’Europol in ultima istanza. Tutti i Paesi della sponda sud del mediterraneo criminalizzano la partenza non autorizzata dal Paese. Con la raccolta del dna, le famiglie dei migranti sarebbero penalizzate se venissero ritrovate: si penserebbe che anche loro vogliano andarsene. Magari bisognerebbe far raccogliere e conservare il dna non alla polizia scientifica ma ai medici”.
La banca del dna “Sarebbe una soluzione interessante" anche per la genetista Catherine Bourgain. "A condizione che sia ben inquadrata e limitata da alcune garanzie. Idealmente, una volta che una persona viene identificata, bisognerebbe che i suoi parenti e lui stesso vengano rimossi dalla banca dati” anche se nella realtà potrebbe rivelarsi più difficile del previsto. “Quale che sia la durata, le famiglie devono essere certe che i loro dati vengano cancellati entro un certo lasso di tempo” conclude.
I casi dell’Argentina, del Libano e della Bosnia. Quello che è certo è che le banche del dna si sono rivelate molto utili nell'identificazione delle persone scomparse nei conflitti e nei genocidi, come è avvenuto in Argentina, in Libano e in Bosnia. Per questo si spera che anche nel caso dei migranti morti in mare questa risorsa possa permettere alle famiglie di scoprire quale sia stata la sorte dei propri cari e riottenerne i corpi. (hélène d'angelo)