Baobab, dal Ferrhotel all’Ittiogenico: le soluzioni possibili (e mai realizzate)
- ROMA – La tendopoli non si farà, non ci sono soldi. La sintesi dell’ultimo incontro tra i volontari dell’ex centro Baobab e l’assessora alle Politiche sociali Laura Baldassarre sta tutta nelle parole di Andrea Costa, uno dei portavoce di Baobab experience: “Il Comune ha alzato bandiera bianca”. Naufraga così l’ultima possibile soluzione per l’accoglienza dei migranti in transito nella Capitale, dopo tre giunte, tre sindaci e tre assessori. Resta invece l’emergenza, quella a via Cupa, dove da mesi vivono accampati per terra circa 300 persone. Quasi tutti uomini, provenienti dal Corno d’Africa, dal Sudan, dall’Afganistan. Ma anche donne e bambini che trovano nel lavoro incessante dei cittadini volontari l'unica forma di assistenza nel cuore di Roma. Intanto nelle altre capitali europee si investe sull’accoglienza: a Parigi la sindaca Anne Hindalgo ha annunciato un campo profughi che ospiterà circa 400 persone, costerà 6 miliardi di euro e sarà pronto tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre.
E a Roma? Nell'ultimo anno e mezzo nella Capitale si è discusso molto sulla necessità di un centro per i migranti in transito, prima con la giunta di Ignazio Marino poi con l’amministrazione del commissario Francesco Paolo Tronca e, infine, con la neosindaca Virginia Raggi. Ma, ad oggi, una reale soluzione non è stata trovata. Eppure di ipotesi sul tavolo ce ne sono state tante, e tutte realizzabili. La prima è stata quella del Ferrhotel, l’ex albergo dei ferrovieri in cui si sarebbe replicato il modello dell’accoglienza già portato avanti a Milano. L’ex assessora alle politiche sociali della giunta Marino, Francesca Danese, aveva infatti annunciato, con tanto di conferenza stampa, l’apertura nella Capitale del primo centro per transitanti, nell’ edificio di Ferrovie (1.100 mq e 50 camere) dato in comodato d’uso gratuito al Comune proprio con questo obiettivo. Era il 30 giugno 2015 e il Baobab, ancora operativo, era nel pieno dell’emergenza sovraffollamento. Da un mese, dopo lo sgombero della comunità della Pace di Ponte Mammolo e la sospensione di Schenghen per il G7 in Germania, i profughi che continuavano ad arrivare a Roma potevano contare lì sull’impegno dei tanti cittadini romani che si erano messi al servizio di un nuovo modo di fare accoglienza. Ma il progetto del Comune, nonostante gli annunci, non ha mai visto la luce, perché, come ha poi spiegato a Redattore sociale Francesca Danese: “il problema è stato quello di reperire le risorse”. Dalla stima iniziale di 150 mila euro per i lavori di ristrutturazione e messa a norma, si è passati a quella, più reale, di 600 mila. Troppi per Roma, e così il progetto si è arenato. Anche la nuova amministrazione Tronca non ha mai pensato realmente di riprendere in mano la possibilità di rendere utilizzabile il Ferrhotel. Ma dopo lo sgombero del Baobab, ha iniziato una trattativa con i volontari, per definire, nelle intenzioni, un progetto congiunto. Gli attivisti di Baobab experience hanno così messo sul tavolo un progetto da loro già elaborato, chiedendo di poter portare avanti la loro esperienza volontaristica nell’ex Istituto ittiogenico, a pochi passi dalla stazione degli autobus di Tiburtina. L’area che comprende due stabili e un ampio giardino (per un totale di più di 6.000 metri quadri), attualmente è in stato di abbandono. L’obiettivo dei volontari è di riqualificarla e creare all’interno un’iniziativa di accoglienza a 360 gradi: non un progetto solo assistenziale, ma un vero centro di accoglienza dove, con il contributo delle tante associazioni che portano già supporto a via Cupa, fare tutela legale e psicologica e assicurare l’assistenza medica. Ma ancora una volta il silenzio delle istituzioni è stato assordante: così i volontari hanno provato ad occupare la struttura per essere sgomberati il giorno stesso, dopo poche ore. Anche la nuova giunta Raggi, appena insediata, ha iniziato un dialogo con i volontari: ogni lunedì i rappresentanti di Baobab Experience sono stati chiamati a viale Manzoni a incontrare l’assessora Laura Baldassare. Si è parlato da subito di due soluzioni possibili. Una di lungo periodo, con un centro per transitanti gestito dal Comune con la collaborazione dei volontari. E una di breve periodo per superare l’emergenza in via Cupa: con l’allestitmento di una tendopoli anche questa cogestita con le associazioni e i cittadini. Ma lunedì quest’ultima ipotesi è naufragata. “E’ semplicemente vergognoso” hanno detto i volontari. Chiedendosi ancora una volta perché non è possibile utilizzare la struttura inutilizzata dell’ex Ittiogenico: che già da subito potrebbe rappresentare un'alternativa alla strada.
I modelli di accoglienza di Milano e Parigi. A Milano l’accoglienza per i migranti in transito è assicurata da un progetto congiunto tra Comune e associazioni. L’iniziativa è attiva dall’ottobre del 2014. Prima l’assistenza avveniva all’interno della stazione centrale, poi Ferrovie dello Stato ha concesso alcuni locali dismessi, e così in via Saltamartini è stato aperto un vero e proprio hub con 70 posti letto e due ampie sale di ritrovo. Qui i migranti che arrivano possono mangiare, bere, riposarsi, ma anche avere informazioni dai volontari e gli operatori dell’associazione progetto Arca, nonché usufruire dell’assistenza medica. Alcuni vengono poi inviati ai centri di accoglienza. A Parigi, la sindaca Anne Hindalgo ha annunciato un centro di accoglienza umanitario, per far fronte all’emergenza rifugiati nelle strade della sua città. Il modello che verrà seguito è quello del campo di Grand Synthe, nel nord della Francia, organizzato insieme da Comune, Medici senza frontiere e i volontari di Utopia 56 Il campo di Parigi costerà 6 milioni di euro (5,2 milioni di euro al Comune e 1,33 milioni di euro allo Stato francese), dieci volte tanto la cifra che servirebbe a mettere a norma il Ferrhotel. “Roma è l’unica capitale europea che non sa rispondere al fenomeno dei transitanti - ha detto Costa -. La situazione è di emergenza umanitaria, ed è una vergogna, trovare posto per 500 persone non è impossibile né difficile". (Eleonora Camilli)