Bimbo down rifiutato al centro estivo, Anffas: "Non è un caso, ma la norma"
ROMA – Sale di ora in ora lo sdegno collettivo per la vicenda di Danilo, il ragazzo Down rifiutato da un centro estivo romano. Si grida allo scandalo: ma magari si trattasse di uno scandalo… “Non è affatto un caso isolato, piuttosto è la norma, che sistematicamente si ripete”: a riferirlo è Roberto Speziale, presidente dell’Anffas, che di famiglie come quella di Danilo ne conosce tante, così come conosce e registra i loro bisogni e le loro difficoltà. Tra queste, c’è il “tempo estivo”, che ogni anno riporta, in queste case, un vero e proprio dramma. “Inserire il proprio figlio disabile in un centro estivo, comunale o privato che sia, è praticamente impossibile – denuncia – Questi ragazzi vengono puntualmente rifiutati, spesso con la scusa che non ci sono risorse per garantire un operatore che provveda ai loro specifici bisogni. Solo le famiglie ‘organizzate’, quelle che fanno riferimento a una struttura associativa, trovano le risposte che cercano: il centro diurno, che d’estate si trasforma in centro estivo. O i soggiorni per i ragazzi, che alle famiglie offrono anche un po’ di respiro… Ma parliamo di soluzioni solo per ragazzi disabili, mentre la condizione ideale sarebbe quella ‘integrata’: ragazzi disabili inseriti nei centri estivi accanto ai loro compagni: una realtà sempre più lontana”.
Sempre più lontana, sì, “perché negli anni la situazione sta addirittura peggiorando. E’ un problema culturale, di approccio alla disabilità: nonostante tutti i nostri sforzi di lavorare in chiave inclusiva, la società si sposta sempre più verso l’esclusione. E’ la conseguenza di campagne come quella contro i falsi invalidi, che alimentano lo stigma sociale da cui nasce la discriminazione. Certo, quando questo avviene in contesti scolastici, come i centri estivi ma anche le gite, è ancora più sconfortante. Ed è proprio lo sconforto che oggi ci stanno comunicando tante famiglie, all’indomani di questo ennesimo caso di discriminazione. Credo non ci sia altra strada che l’azione legale”. Sì, perché escludere un ragazzo disabile da un centro estivo, come da qualsiasi altro servizio, “viola la legge 67/2006. Eppure, è quello che accade sempre più spesso. C’è l’alibi delle risorse: ma un servizio si pensa e si progetta a partire dall’accessibilità per i più bisognosi. O si fa per tutti, o non si fa per nessuno: è quello che prescrive la legge. E chi non la rispetta, va sanzionato. E’ quello che proponiamo anche ai genitori di Danilo e a tutti quelli che si trovassero nella stessa situazione: attivare un’azione legale, anche con l’aiuto gratuito dei nostri avvocati”.
Ci sono certo casi di centri estivi che “accettano” bambini disabili, “ma spesso chiedono un contributo supplementare alle famiglie, per poter pagare l’operatore”. Un onere che può far salire il costo del servizio fino a 220 euro a settimana. “Ripeto: le risorse vanno allocate correttamente, in modo da rispondere innanzitutto a chi a più bisogno”. Ma come scorre, allora, il tempo estivo delle dei ragazzi disabili “non organizzati?”: molti di loro “vivono segregati in casa, con pochissime occasioni di socializzazione con tutta una serie di problematiche per le loro famiglie. Ai loro occhi, chi fa parte di un’associazione diventa un ‘privilegiato’, perché riceve riposte che loro non trovano”. La soluzione, però, ci sarebbe: si chiama “progetto personalizzato, è previsto dall’articolo 14 della legge 328 e prevede che tutto sia programmato, compreso il periodo estivo” In Italia, però, siamo all’anno zero: “di fatto, non esiste un sistema di presa in carico, ma solo improbabili risposte, spesso frutto di volontarismo. L’unica risposta arriva dal terzo settore: tutto il resto non è centrato su bisogni di disabile, ma sulle esigenze della spesa pubblica. Io davvero non so più cosa fare”. (cl)
Su RS l'Agenzia di Redattore sociale leggi l'inchiesta su disabilità e centri estivi.