Bossi-Fini, "legge simbolo della criminalizzazione dello straniero"
boxROMA – Mentre sale di ora in ora il bilancio delle vittime (finora oltre 200 i corpi recuperati) della tragedia di Lampedusa, infiamma il dibattito sulle misure da intraprendere per evitare nuove stragi di migranti. Sotto accusa da più parti è oggi la Legge Bossi-Fini ( legge 189 del 30 luglio 2002) considerata una legge ormai datata, troppo repressiva e non in grado di tener conto dei nuovi fenomeni migratori. Voluta dal secondo governo Berlusconi, la legge subordina l’ingresso in Italia al possesso di un contratto di lavoro, requisito principale per ottenere il permesso di soggiorno. Nel caso di perdita di lavoro lo straniero ha tempo un anno per trovare un nuovo impiego (modifica introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92.). Alla scadenza del permesso di soggiorno, la questura rilascia un permesso per attesa occupazione per una durata non inferiore a 12 mesi. Se non si trova un nuovo lavoro, si deve rientrare in patria, altrimenti come spesso accade, si resta irregolarmente sul suolo italiano. Solo dopo cinque anni di permanenza regolare si può ottenere invece il permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo (ex Carta di soggiorno).
“È l’impianto dell’intera legge che va rivisto –sottolinea Lorenzo Trucco, presidente dell’Asgi (Associazione studi giuridici per l’immigrazione) - prima di tutto per quanto riguarda le modalità di ingresso nel nostro paese. Il decreto flussi non ha mai funzionato, vanno invece previsti nuovi meccanismi che rendano possibile entrare anche per la ricerca di un lavoro. L’ingresso legale deve essere conveniente, devono essere poi previsti dei meccanismi di regolarizzazione a regime a fronte di determinati requisiti: la possibilità di un lavoro, il tempo di permanenza sul suolo italiano, la presenza di una famiglia”.
Oltre alla blindatura in ingresso, legata appunto all’occupazione, la legge viene da più parti contestata per i suoi aspetti repressivi. Chi entra in Italia viene identificato, con la registrazione delle impronte digitali, se non ha già un contratto di lavoro e quindi un permesso di soggiorno, è considerato irregolare ed è prevista l’espulsione con l’accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica. Se il migrante irregolare è senza documenti di identità, viene portato nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie, ex Cpt) dove può restare fino a 18 mesi (la Turco-Napolitano prevedeva trenta giorni) durante i quali vengono svolte le pratiche di identificazione, dopodiché lo straniero deve lasciare l’Italia. Se in seguito rientra senza permesso di soggiorno commette reato. “La partita dei Cie è quella più dolorosa: si tratta di una detenzione amministrativa che può arrivare fino a diciotto mesi. Quindi una persona che non ha commesso nessun reato può restare in un centro di identificazione fino a un anno e mezzo in condizioni peggiori di quelle di un carcere – aggiunge Trucco -. E’ iniquo e ingiusto, se si pensa inoltre che il controllo di queste strutture viene affidato al giudice di pace”.
Particolarmente contestato in queste ore anche il cosiddetto “reato di clandestinità” (reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato) introdotto con il pacchetto sicurezza (legge n. 94 del 2009) nel Testo Unico sull’immigrazione. A fa scalpore, in particolare il fatto che anche i superstiti della strage di Lampedusa, sono stati iscritti nel registro degli indagati per aver violato questa norma. Un atto dovuto, secondo la questura, ma già da più parti si grida alla vergogna. “È un reato punito con un’ammenda, quindi in sé non è particolarmente grave. Ma è orrendo dal punto di vista simbolico perché è l’ emblema della criminalizzazione dello straniero che è dietro l’impianto della Bossi-Fini – spiega Trucco -. È il frutto della subcultura che ha determinato queste norme repressive, il segnale lampante dell’assurdità di questa normativa. Nel caso di Lampedusa, inoltre, si tratta di richiedenti asilo quindi non andavano iscritti comunque nel registro, al di là della vergogna del gesto simbolico”.
Per contrastare l’immigrazione irregolare, inoltre, la normativa prevede che l’Italia possa attuare respingimenti in mare, in acque extraterritoriali. Anche questo è uno degli aspetti più contestati della legge e più controversi insieme al reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” relativa a chi compie “atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”. Una norma che in passato ha colpito chi cercava di soccorrere i barconi di migranti in mare e che, secondo quanto dichiarato anche dalla stessa sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, avrebbe tenuto lontano dall’imbarcazione in fiamme, con oltre 500 persone a bordo, ben tre pescherecci. “È un reato che a livello teorico non è scandaloso prevedere –conclude Trucco – ma nel pratico è stato applicato a persone che avevano un atteggiamento di aiuto, è può quindi essere pericoloso perché mette a rischio la vita delle persone e può evitare i soccorsi in mare”. (ec)