Braille, un linguaggio superato? "Tutt’altro, adattabile anche all’informatica"
ROMA - Si celebra oggi, come il 21 febbraio di ogni anno, la Giornata nazionale del Braille. L’evento è stato istituito dalla legge 126 del 2007 e, quest’anno, è alla sua X edizione. Secondo l’esperto tiflologo Gianluca Rapisarda, direttore scientifico dell’Istituto per la ricerca, la formazione e la riabilitazione (Irifor) dell’Uici, “con l’approvazione di tale legge, il Parlamento italiano ha suggellato un atto di altissimo valore etico, sociale e culturale”. Sì, perché l’alfabeto Braille ha fatto uscire i ciechi dalla preistoria, consentendo loro di comunicare per iscritto e di partecipare attivamente alla vita culturale della società. “Tra i primi Paesi nel mondo, l’Italia ha riconosciuto l’importanza determinante di una scrittura dedicata– prosegue Rapisarda - per una minoranza altrimenti condannata irreparabilmente all’emarginazione”. Ideato dal francese Louis Braille, si tratta di un sistema di lettura e scrittura in rilievo e consente anche ai non vedenti di leggere e di scrivere, di comunicare, di fissare il proprio pensiero, di studiare, di lavorare e integrarsi nel contesto sociale di appartenenza. E la data del 21 febbraio non è casuale: “Coincide con la Giornata internazionale della lingua madre istituita dall’Unesco nel 1999 e riconosciuta dall’Onu nel 2007 per promuovere la diversità linguistica e culturale e il multilinguismo”.
Mezzo di inclusione. Secondo Gianluca Rapisarda, oggi è molto importante far conoscere la storia di Louis Braille e della sua geniale e invenzione, “per sedimentare nella coscienza e nella sensibilità soprattutto dei giovani una nuova e più costruttiva cultura della disabilità e dell’inclusione”. Il linguaggio Braille è “uno strumento che va preservato e coltivato da tutti i cittadini, vedenti e non vedenti”.
Strumento attuale. “Per sottolineare l’attualità del metodo di lettura e scrittura Braille – afferma Gianluca Rapisarda – basterà ricordare due sue caratteristiche ancora uniche e straordinarie: il sistema risulta estremamente duttile e flessibile, tanto che, con i soliti sei punti del Braille, ricorrendo a piccoli accorgimenti, i ciechi hanno la possibilità di leggere e di scrivere tutti i testi di loro interesse sia nelle lingue antiche che in quelle moderne, nelle lingue slave, in arabo ed in cinese (i ciechi cinesi, per scrivere in Braille, hanno sostituito gli ideogrammi con una scrittura fonetica)”. Inoltre, c’è un’altra possibilità: “Lo stesso Louis Braille, fin dalla prima edizione della sua opera (il ‘Procedè’ del 1829), si preoccupò affinché fosse possibile scrivere la musica”. Attraverso apposite chiavi di lettura ideate ad hoc, il lettore può immediatamente comprendere se sta leggendo un testo letterario o matematico o musicale o altro.
Braille e nuova tecnologia. Spiega il tiflologo dell’Irifor che “il Braille è risultato perfettamente adattabile anche all’informatica, tanto che gli otto punti utilizzati dal sistema binario hanno consentito di realizzare display Braille con cui l’utente può utilizzare indifferentemente il Braille a otto o a sei punti. Questa ulteriore possibilità di adattamento del sistema ha prodotto risultati di incalcolabile valore: i testi possono essere agevolmente trasferiti da un qualsiasi computer al display Braille e viceversa, possono essere memorizzati, immessi in una stampante, possono essere rielaborati, integrati, corretti innumerevoli volte, al fine di ridurre gli spazi notevoli e gli alti costi della carta richiesti dalla trascrizione in Braille”.
Il Braille nel sostegno a scuola. Rapisarda denuncia che, ancora oggi, molti manifestano una forte ostilità nei confronti di questo importante strumento. “Da molti genitori, ad esempio, il Braille è considerato emarginante e stigmatizzante. In qualche modo, l’apprendimento del Braille è identificato con il riconoscimento definitivo della cecità del figlio”. Ma che sia “superato” lo dicono anche “troppi insegnanti per il sostegno che, particolare tutt’altro che trascurabile, non solo non conoscono il Braille che dovrebbero insegnare agli alunni affidati alle loro cure, ma che rifiutano di impararlo, relegando questi malcapitati bambini disabili visivi alla condizione di analfabeti strumentali. Occorre rispetto per il sentire di ognuno, ma noi abbiamo l’obbligo di far sapere – ribadisce Rapisarda – che, nel contesto sociale attuale, l’analfabetismo crea enormi difficoltà. L’autentica emarginazione deriva dall’impossibilità di risolvere problemi, non già dagli strumenti con i quali i problemi si risolvono”.
“A costoro vorrei rammentare – conclude il direttore scientifico dell’Irifor – che il Braille ha fatto uscire i ciechi dalla preistoria, consentendo loro di comunicare per iscritto e di partecipare attivamente alla vita culturale della società. Sarebbe impossibile pensare oggi alla formazione di una persona, anche con disabilità visiva, che non padroneggiasse con disinvoltura un proprio sistema di lettura e scrittura”.