Cacciati senza alternative: l’Ue blocca lo sgombero di un campo rom
TORINO - Le avvisaglie, a ben vedere, c’erano già. Il primo altolà era arrivato dalla direzione generale Giustizia della Commissione Ue, che a novembre, criticando duramente il “sistema campi”, minacciava di mettere in mora l’Italia per via delle politiche segregative tuttora attuate nei confronti di rom e sinti. Il mese scorso, poi, era toccato all’Ecri (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza) richiamare all’ordine il governo italiano, circa l’illegittimità degli sgomberi coatti negli insediamenti del nostro paese.
A chiudere il cerchio, alla fine, ci ha pensato la Corte per i Diritti umani di Strasburgo. Che ieri, per la prima volta, è intervenuta per fermare lo sgombero di un campo nomadi, accogliendo così l’esposto presentato appena due giorni prima da cinque famiglie rom, che denunciavano una serie di irregolarità in un’operazione andata avanti a singhiozzo a partire dal luglio scorso. L’insediamento è quello spontaneo di Lungo Stura Lazio, alla periferia nord-est di Torino. Occupato nel 1990, è forse il più grande del capoluogo sabaudo: al momento ospita circa 600 persone, in gran parte originarie della Romania; ma fino alla scorsa estate gli abitanti erano più di mille.
Sotto accusa ci sono le stesse modalità con cui lo sgombero è stato portato avanti, che violerebbero standard e garanzie procedurali adottate dagli stati Ue nell’ambito della strategia varata a Bruxelles nel 2011. “Alla maggior parte degli occupanti - spiega l’avvocato Gianluca Vitale, legale delle famiglie - incluse famiglie con minori, anziani e malati a carico, non è stata offerta alcuna sistemazione alternativa. A nessuno è stata comunicata la data esatta in cui le operazioni sarebbero riprese: secondo la prefettura, ciò sarebbe dovuto avvenire entro il 31 di questo mese, ma ad oggi non esiste ancora una data certa”.
Così, ieri mattina, la Corte ha imposto allo stato italiano di “congelare” lo sgombero almeno fino al 26 marzo. E di fornire, nel frattempo, “informazioni dettagliate circa la riallocazione di queste persone - continua Vitale - con particolare riferimento a minori e situazioni di vulnerabilità”. Situazioni che, purtroppo, pare non manchino a Lungo Stura: stando a quanto denunciato dagli occupanti, alla fine di febbraio intere famiglie con minori a carico, in qualche caso affetti da forme di disabilità, si sarebbero viste demolire le baracche senza che nessuno avesse proposto loro una nuova sistemazione.
Per non separarsi dai familiari, una donna affetta da un tumore avrebbe inoltre rifiutato di trasferirsi in un social housing. Secondo i dati diffusi dall’associazione romana “21 luglio”, che sul posto aveva mandato un osservatore, tra gli ultimi duecento sgomberati ci sarebbero almeno quaranta minori, oltre a tre donne incinte e a una ventina di anziani affetti da patologie come diabete o calcoli renali gravi. “A quanto pare - continua Vitale - in luogo di una casa, a molti sarebbe stato proposto il rimpatrio volontario in Romania”.
A partire dal 2011, l’insediamento è stato incluso nel cosiddetto “Patto d’emersione”, un progetto del comune che, con uno stanziamento di cinque milioni di euro, punta al superamento dei campi e all’inclusione abitativa dei rom torinesi. Tra luglio e febbraio scorsi, due terzi dell’accampamento sono già stati demoliti. Gran parte degli occupanti è andata a sovraffollare l’unico settore rimasto in piedi, la cosiddetta “fossa”: una depressione che costeggia le rive del fiume Stura, che proprio in quel tratto è soggetto a un forte rischio esondazione.
Nel frattempo, i criteri d’inclusione nel Patto sono divenuti oggetto di una feroce polemica con i gruppi consiliari d’opposizione e i comitati per i diritti dei Rom. Ieri pomeriggio, appena un paio d’ore dopo la pronuncia di Strasburgo, un occupante di Lungo Stura è intervenuto a sorpresa ad un convegno che l’università di Torino aveva organizzato per discutere dell’inclusione abitativa dei nomadi. Denunciando, tra il crescente imbarazzo dei presenti, che appena un quarto dei mille abitanti del campo avrebbe ottenuto l’inclusione nel piano. “Il Comune - ha detto in sala - non ha organizzato nemmeno un’assemblea per parlarci. Le cooperative che gestiscono il progetto hanno chiamato alcune famiglie, facendogli firmare dei documenti con cui accettavano di demolire le baracche in cambio di una sistemazione abitativa. Solo 250 di noi sono rientrati nel programma, ma finora nessuno ci ha spiegato come siano stati scelti. L’unico rapporto che abbiamo avuto con le istituzioni è che ogni due settimane venivano a censirci e a farci domande: poi arrivava la polizia e ci davano il foglio di via. Arrivavano con scudi, cani e manganelli, per prenderci e mandarci via dall’Italia con qualunque pretesto: a una signora hanno dato il foglio di via perché aveva acceso la stufa per scaldare la baracca”.
Proprio ieri, in effetti, sarebbe avvenuto l’ultimo blitz nella struttura: la polizia ha fermato due occupanti, che al momento sono rinchiusi nel Cie di corso Brunelleschi e rischierebbero il rimpatrio. Nulla si sa circa i motivi del fermo, ma in mattinata sarà il Giudice di pace a occuparsi della convalida o dell’annullamento. (ams)