12 giugno 2014 ore: 12:37
Immigrazione

Campi rom, 21 luglio: “Costeranno sempre di più”

Rapporto Campi Nomadi S.p.a. L'associazione critica sulla gestione dei campi rom e sull’impiego delle risorse, in minima parte gestiti da bandi. Stasolla: “L'affidamento diretto dei progetti è sinonimo di poca trasparenza e approccio securitario”
www.nenopolini.com Nomadi: campo rom Tirana. Anziana e bambina (16)

Foto di Nazzareno Polini

ROMA - "I costi dei campi rom saranno sempre e necessariamente maggiori. Per come è strutturato oggi il sistema dei campi, l'aumento è irreversibile". Ne è convito Carlo Stasolla, presidente dell'associazione 21 luglio che oggi in Campidoglio a Roma presenta il rapporto "Campi Nomadi s.p.a. - Segregare, concentrare e allontanare i rom. I costi a Roma nel 2013". Secondo il rapporto il costo del sistema dei campi, dei centri di raccolta rom e degli sgomberi nella capitale è pari a 24 milioni di euro soltanto nel 2013. Una cifra che, rispetto al passato e alla gestione emergenziale, è in "aumento" nonostante il cambio di giunta che ha visto Ignazio Marino succedere all'ex sindaco Gianni Alemanno, principale protagonista di quella che fu ribattezzata dalle stesse istituzioni "emergenza nomadi". "Il sistema campi funziona a palla di neve - ha spiegato Stasolla -. Una volta partito può solo costare di più. Non possiamo neanche dire al comune di togliere i soldi della gestione, della sicurezza e della guardiania e convertili in inclusione sociale perché se togli le risorse da uno dei capitoli è un problema e se aumenti le risorse per l’inclusione vieni a spendere anche di più, arrivando anche al doppio". 

Dei 24 milioni, però, quasi nulla va all'inclusione sociale. Secondo lo studio, infatti, nel 2013 sono state destinate soltanto lo 0,4 per cento delle risorse complessive a questo capitolo di spesa. Per Stasolla, la ragione è che "il campo non è fatto per uscire dal campo - ha aggiunto -. Il campo o il centro di raccolta non ha come obiettivo quello di fare uscire le persone dalle strutture. In nessun centro di raccolta rom, ad esempio, c’è un presidio per l’inclusione sociale con ricerca di lavoro e percorsi formativi finalizzati all’uscita come invece accade per i centri di accoglienza per i rifugiati. Il sistema campi non contempla un’uscita. A voce si può anche dire, ma nei fatti e nei numeri questo non è previsto. I casi di uscita sono casi eccezionali di iniziativa privata".

Tra i dati, spicca inoltre quello degli affidamenti diretti dei servizi. In quasi tutti i casi presi in considerazione, dagli 8 campi rom ai tre diversi centri di raccolta, si tratta quasi sempre di oltre l'80 per cento delle risorse. Solo una minima parte degli stanziamenti è messa a bando. "In questo caso, l'affidamento diretto è sinonimo di poca trasparenza e approccio securitario - ha spiegato Stasolla -. Rimaniamo in un clima di emergenza, nonostante sia finita, e si dà l’affidamento diretto perché non si ha tempo e modo di fare dei bandi".  L'alternativa ai campi c'è, spiega l'associazione, e gli esempi di autocostruzione o di recupero di stabili abbandonati di Padova e Messina ne sono un esempio. Per Stasolla, però, occorre prima una scelta politica netta. "Andrebbe prima di tutto fissata la data di chiusura del campo - spiega Stasolla -. È il primo atto. Se manca, un campo non si può chiudere. Se all’inizio manca una scelta politica riguardo la chiusura di un campo, nessun campo sarà mai chiuso. Il campo nasce da una decisione politica e può essere chiuso solo da una decisione politica". (ga)

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