Caporalato, circa 300 aziende iscritte alla Rete del lavoro agricolo. "Numeri esigui"
ROMA – Contro il caporalato la Rete del lavoro agricolo di qualità fatica a decollare e il rischio che anche il 2016 veda la lotta allo sfruttamento nei campi senza nuovi strumenti è più che una sola ipotesi, nonostante gli annunci eclatanti dello scorso anno da parte dei ministri della Giustizia, Andrea Orlando, e delle Politiche agricole (Mipaaf), Maurizio Martina che a fine agosto parlava di un “piano organico” contro il caporalato in soli 15 giorni. A parlare sono i fatti: dal numero delle aziende che hanno aderito alla Rete, alla tabella di marcia dell’iter legislativo del ddl 2217 recante “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura”. Per quanto riguarda la rete, dopo l’iniziale interesse al lancio, a quasi otto mesi dall’avvio dei lavori (la rete è nata il primo settembre 2015) sono solo poco più di 300 le aziende agricole iscritte, su di un panorama nazionale che vede quelle attive e “papabili” superare le 100 mila unità. Il ddl contro il caporalato, invece, è ancora al Senato e dovrà completare l’iter col passaggio alla Camera dei deputati.
Lo storico sciopero dei sikh a Latina. Che il contrasto al fenomeno del caporalato meriti un’accelerazione lo dimostrano anche gli ultimi avvenimenti. Lunedì 18, a Latina, quasi 5 mila lavoratori sikh hanno scioperato per la prima volta contro lo sfruttamento nei campi. “Dappertutto i sikh sono a metà del salario contrattuale – spiega Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai Cgil -. A Latina si va anche sotto la metà: vengono pagati tra 2,8 e 3,2 euro all’ora quando va bene mentre il salario provinciale prevede 9,4 euro all’ora”. Lavoratori “miti” e non proprio inclini alla “ribellione” racconta Mininni, ma con lo sciopero di lunedì qualcosa è cambiato. “Sono esasperati – racconta il segretario nazionale Flai Cgil -. Alcuni di loro sono stati picchiati dai padroni perché chiedevano l’aumento di qualche euro. Dopo questi episodi si sono rivolti al sindacato. Oggi c’è un grande fermento sui territori e in diverse zone stanno contattando la categoria”.
Ddl caporalato, “potrebbero non farcela per l’estate”. Se a settembre dello scorso anno gli annunci di Martina e Orlando facevano ben sperare in un 2016 diverso, a pochi giorni dalla fine di aprile la situazione non sembra essere cambiata. “Martedì 19 si è svolta l’ultima audizione della Commissione agricoltura al Senato sul ddl 2217 – spiega Mininni -, e non è escluso che il testo possa passare per l’aula del Senato, a meno che i tre ministri (tra i firmatari del ddl c’è anche Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, ndr) non decidano di far arrivare il testo subito alla Camera”. E il percorso del ddl che senza un intervento per velocizzarlo potrebbe durare più del previsto. “L’iter al Senato potrebbe durare circa un altro mese – aggiunge -. Poi deve passare alla Camera e potrebbero non farcela per l’estate”. Il ddl custodisce gran parte delle novità annunciate lo scorso anno: dalle notivà in materia di confisca dei beni alle aziende che sfruttano, a quelle per potenziare la Rete del lavoro agricolo. “Tutte queste soluzioni sono ancora nella palude dei tempi parlamentari - aggiunge il segretario nazionale -, eppure era stata fatta un’operazione intelligente, perché finalmente non si bloccava l’impresa facendo perdere il lavoro ai lavoratori che non avevano colpe. Col ddl si sequestrano solo i beni prodotti in quel momento o l’arricchimento illecito". Per Mininni, non è difficile capire il motivo di questi ritardi, nonostante le promesse. “Siamo sempre nella logica dell’annuncio – spiega -. Questo governo è fatto così: annunci roboanti, ma le cose concrete faticano ad arrivare. Sarebbe stato meglio che ci avessero detto che c’erano tempi lunghi, con l’assicurazione di una corsia preferenziale, ma ad oggi non c’è stata neanche la decisione di un percorso preferenziale”.
I "numeri esigui" della Rete. A questi ritardi si aggiunge la finora non proprio numerosa adesione alla Rete del lavoro agricolo di qualità. Ad oggi, infatti, sono circa "un migliaio le domande", di cui "solo poco più di 300" ad oggi risultano aderenti alla rete. “I numeri sono proprio esigui - racconta Mininni -. Le imprese non si fidano, hanno paura di mettersi sotto la lente di ingrandimento”. Per Mininni, “c’è paura di incappare nei controlli e se questo dovesse essere vero vuol dire che in agricoltura l’illegalità è molto diffusa, più di quello che si dice, delle poche mele marce. Se a Latina lunedì scorso si sono fermati tra i 4 e i 5 mila lavoratori in sciopero significa che questi lavoratori lavorano verso imprese vere e proprie, strutturate”. Le criticità emerse a quasi otto mesi di attività della Rete, però, non hanno fatto altro che sottolinearne alcune delle vulnerabilità strutturali, già denunciate dallo stesso Mininni. Ad oggi, infatti, l’iscrizione alla Rete è del tutto volontaria e gli interventi di potenziamento previsi nel collegato agricolo sono stati inseriti proprio nel ddl 2217. Per questo, spiega Mininni, “quest’estate la rete del lavoro agricolo potrebbe continuare a non avere gli strumenti necessari per svolgere il lavoro che chiede di fare il ministro. Il problema è che è nata con un altro scopo e se vuoi trasformarla in un’arma da guerra gli devi dare le munizioni. La rete deve creare il luogo dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Riesci a fare questa cosa solo se sposti la rete sul territorio e crei quelle convenzioni con i centri per l’impiego, con delle liste dedicate all’agricoltura, i trasporti e un coordinamento provinciale. Se la rete deve essere solo uno strumento burocratico a livello nazionale non potrà mai avere gli strumenti per intervenire a livello territoriale”. Per Mininni è tempo che lo stato rioccupi lo “spazio vuoto occupato oggi dal caporalato che offre un servizio efficace ed efficiente alle imprese, ma che sfrutta i lavoratori. Con una Rete del lavoro com’è fatta adesso noi controlliamo le carte e basta”.(Giovanni Augello)