Caporalato, emendamenti al ddl riscrivono il reato: così più efficace
ROMA - Un reato di caporalato più flessibile ed efficace, una fattispecie autonoma per le impresse che sfruttano, l’amministrazione giudiziaria in alternativa al sequestro per quelle sotto indagine in cui il giudice individua la possibilità, nuovi requisiti per aderire alla Rete del lavoro agricolo di qualità e la speranza di chiudere l’iter in Senato entro l'estate. A fare un quadro sugli emendamenti presentati al "ddl caporalato" (n. 2217) in Commissione agricoltura è la relatrice, la senatrice del Pd Maria Grazia Gatti secondo cui, se tutto dovesse andar bene, dopo gli ultimi passaggi in Commissione Agricoltura e ricevuta la valutazione della Commissione Bilancio, il testo potrebbe arrivare in Aula dalla metà di luglio per la discussione finale e l'approvazione. Poi toccherà alla Camera dei deputati. Intanto, gli emendamenti presentati suggeriscono alcune novità importanti da introdurre nel testo.
La prima riguarda un emendamento presentato dalla relatrice che riscrive il reato di caporalato in modo più preciso e introducendo indici di sfruttamento più flessibili. “Violenza e minacce diventano aggravanti, e il reato riguarda chi intermedia illegalmente un lavoratore in condizioni di necessità e bisogno portato a lavorare in una situazione di lavoro sfruttato ed è punito da uno a cinque anni. La violenza e la minaccia diventano aggravanti e la pena è quella che c'era un tempo, cioè da 5 a 8 anni”. Non si tratta di uno sconto di pena, chiarisce Gatti, “è stato modificato il reato in modo da poter intervenire in più situazioni. non sempre il caporalato è caratterizzato da violenza e minaccia. A volte sono i lavoratori in stato di bisogno che chiedono di essere portati a lavorare, e poi è molto difficile provare situazioni di violenza e minacce. Chiaramente, lo stesso reato è definito per l'impresa che prende lavoratori dal caporale”. Obiettivo della nuova stesura del reato è “renderlo più applicabile e più corrispondente a come si articola nella realtà”.
Nuova anche l’introduzione di una fattispecie di reato autonoma per l’impresa che fa lavorare persone non necessariamente trovate dal caporale, in condizioni di sfruttamento evidenti, cioè salari palesemente più bassi rispetto a quelli indicati dai contratti collettivi nazionali o territoriali o comunque sproporzionati rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria e alle ferie; la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; infine la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative degradanti. “Il reato autonomo permette di intervenire in situazioni come quella dei sikh di Latina dove alcuni avevano un caporale e altri no”, spiega Gatti.
A valutare l’effettiva sussistenza del reato, però, sarà sempre la magistratura. “Gli indici non sono indicatori assoluti ma elementi importanti – chiarisce Gatti -. Sono diventati molto più flessibili, ma occorre essere chiari: l'esistenza di un indice di sfruttamento evidente non è già reato. C'è bisogno dell’intervento di un giudice che valuti la situazione complessiva”. Il fine della riscrittura del reato e dell’introduzione della nuova fattispecie, spiega Gatti, ha come obiettivo quello di contrastare in modo più efficace un fenomeno che fa della sua molteplicità di forme un punto di forza. “L'esistenza di un reato autonomo dovrebbe riuscire a scardinare la forma di complicità fra caporale e impresa – aggiunge Gatti -. L’obiettivo è quello di riuscire a pescare più situazioni di sfruttamento, lesive della salute, della dignità e della vita delle persone”.
Tra gli emendamenti anche la possibilità dell’amministrazione giudiziaria per l’impresa incriminata. “In questo modo la produzione non si blocca – aggiunge Gatti -. Il datore di lavoro viene affiancato da una persona nominata dal giudice con l’obiettivo di continuare a lavorare togliendo al contempo gli elementi che configurano reato. In questo modo si regolarizzerebbero le posizioni dei lavoratori si ristabilirebbe la legalità”.
Oltre alla parte repressiva, gli emendamenti propongono anche integrazioni per quanto riguarda le politiche di contrasto del fenomeno. Come la ridefinizione delle modalità e dei vincoli per aderire alla Rete del lavoro agricolo di qualità definita nel provvedimento "Campolibero" del ministro Martina nel 2014. Tra le novità, la richiesta di inserire esplicitamente come requisito fondamentale per l’accesso alla rete l’applicazione dei contratti nazionali e territoriali. Poi la possibilità di aprire la rete anche a quanti abbiano ricevuto sanzioni amministrative e abbiano provveduto a sanare le posizioni. Resta, tuttavia, il requisito dell’assenza di condanne penali negli ultimi tre anni. Gli emendamenti, inoltre, intervengono sul ruolo che la Rete dovrà giocare sui territori con la proposta di sperimentazioni di forme alternative di collocamento agricolo e di modalità di trasporto. Infine, la proposta di intervenire in situazioni urgenti con piani logistici per l'accoglienza degli stagionali, fornendo “abitazioni decenti e condizioni di vita ragionevoli anche per i lavoratori che arrivano all'improvviso per lavori stagionali e che si spostano sul territorio nazionale”. (ga)