Carcere, 74 persone si sono uccise nel 2022. Antigone: “Mai così tante”
ROMA – 13 suicidi ogni 10 mila persone detenute: è questo il “tasso di suicidi" in carcere nel 2022, calcolato dall'associazione Antigone, dopo il 74° caso dall'inizio del 2022. L'ultimo, drammatico caso è quello del detenuto disabile trovato impiccato ieri, nel carcere di Termini Imerese. “Dall’inizio dell’anno 74 persone si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena – riferisce Antigone - Mai così tante da quando si registra questo dato. Il precedente drammatico primato era del 2009, quando al 31 dicembre si erano suicidate 72 persone. Oggi, a fine anno, mancano ancora due mesi”.
La situazione, oggi, è però anche più preoccupante del 2009, se si guarda al cosiddetto tasso di suicidi, dato dal rapporto tra il numero di suicidi e la media di persone detenute nel corso dell'anno.
“Non essendo ancora terminato il 2022, possiamo oggi calcolare il tasso di suicidi solo tra il mese di gennaio e settembre, ossia a quando risale l’ultimo aggiornamento sulla popolazione detenuta – osserva Antigone - Con un numero di presenze medie pari a 54.920 detenuti e 65 decessi avvenuti in questi nove mesi, il tasso di suicidi è oggi pari circa a 13 casi ogni 10.000 persone detenute: si tratta del valore più alto mai registrato. Quando nel 2009 si suicidarono 72 persone, i detenuti erano circa 7.000 in più”. Un dato è particolarmente eloquente: “In carcere ci si uccide oltre 21 volte in più che nel mondo libero”.
Altro dato drammatico riguarda i suicidi nella popolazione detenuta femminile: finora 5, dall'inizio dell'anno, mentre “nel 2021 e nel 2020 'solo' due si erano tolte la vita. Nessuna nel 2019 – fa notare ancora Antigone - Quasi il 50% dei casi di suicidi sono poi stati commessi da persone di origine straniera. Se circa un terzo della popolazione detenuta è straniera, vediamo quindi come l’incidenza di suicidi è significativamente maggiore tra questi detenuti”.
Altro dato interessante: “Dalle poche informazioni a disposizione, sembrerebbe che circa un terzo dei casi di suicidi riguardava persone con un patologia psichiatrica, accertata o presunta, e/o una dipendenza da sostanze, alcol o farmaci”.
Le “ragioni”
Per quanto non sia possibile comprendere e indicare la ragione di un suicidio, va ricordato innanzitutto che “la maggior parte delle persone che entrano in un istituto di pena hanno alle spalle situazioni già di ampia complessità: marginalità sociale ed economica, disagi psichici e dipendenze caratterizzano gran parte della popolazione detenuta. In questi ultimi anni, Antigone nelle sue visite ha raccolto un numero sempre crescente di segnalazioni relative all’aumento di persone detenute con patologie psichiatriche e alla difficoltà di intercettare e gestire tali situazioni, spesso per mancanza di risorse adeguate e per l’inadeguatezza del carcere come luogo per la loro collocazione”. La pandemia ha poi aggravato certamente la situazione, “contribuendo in molti casi ad ampliare e acuire situazioni di solitudine e sofferenza. Per chi era già in carcere e ha subito la chiusura di attività e dei contatti dell'esterno per un lungo periodo, ma anche per chi era fuori e arriva alla detenzione con un affaticamento mentale maggiore di quanto non avvenisse presumibilmente in passato”.
Le proposte
Di qui, alcune proposta avanzate da Antigone: primo, “percorsi alternativi alla detenzione intramuraria, soprattutto per chi ha problematiche psichiatriche e di dipendenza”; secondo, “migliorare la vita all’interno degli istituti, per ridurre il più possibile il senso di isolamento, di marginalizzazione e l’assenza di speranza per il futuro. Vanno in questo senso favoriti interventi che hanno in generale un impatto positivo su tutta la popolazione detenuta e che possono ovviamente avere un effetto ancora più forte su persone con profonde sofferenze”.
Antigone, in questo senso, un anno fa aveva presentato un documento avanzando alcune proposte di riforma del regolamento penitenziario, al fine di sostenere la necessità di dedicare maggiore attenzione ad alcuni aspetti della vita penitenziaria, affinché il rischio suicidario possa essere controllato e ridimensionato. Innanzitutto, “il regolamento dovrebbe prevedere una maggiore cura e apertura ai rapporti con l’esterno: più telefonate (da poter effettuare in qualunque momento, direttamente dalla propria stanza detentiva, non solo ai familiari e alle persone terze che rappresentano legami significativi, ma anche alle autorità di garanzia) e allo stesso modo più colloqui”. In secondo luogo, “andrebbe garantita particolare attenzione al momento dell’ingresso e dell’uscita dal carcere, entrambe fasi particolarmente delicate e durante le quali anche quest'anno sono avvenuti numerosi casi di suicidio. L’introduzione alla vita dell’istituto deve avvenire in maniera lenta e graduale, affinché la persona abbia la possibilità di ambientarsi alla nuova condizione e il personale il tempo necessario ad identificare eventuali problematiche e fattori di rischio. Ogni istituto dovrebbe avere reparti ad hoc per i nuovi giunti, un servizio di accoglienza strutturato in cui vengono informati sui diritti e le regole all’interno del penitenziario, la fruizione di colloqui con psicologi e/o psichiatri e maggiori contatti con l’esterno”.
Allo stesso modo, “maggiore attenzione andrebbe prevista anche per la fase di preparazione al rilascio a fine pena, affinché soprattutto per le persone che non dispongono di una rete solida all’esterno, esso non costituisca un momento traumatico da affrontare in totale assenza di supporto. La persona deve essere accompagnata al rientro in società e dotata dei principali strumenti necessari. Gli istituti devono così dotarsi di un vero e proprio servizio di preparazione al rilascio”.