Carcere, Antigone: “No al ddl sicurezza e al reato di rivolta carceraria”
ROMA – Il nuovo reato di rivolta penitenziaria presente nel ddl sicurezza punirà con pene elevatissime anche chi protesta senza violenza e con forme di resistenza passiva nonviolenta, si legge nel report di fine anno presentato questa mattina dall’Associazione Antigone. È impossibile sapere come la norma verrà interpretata in futuro, ma di eventi simili fino al 9 dicembre del 2024 ne abbiamo contati solo nelle carceri per adulti ben 1397. Sono classificati come forme di protesta collettiva (tra cui battitura delle sbarre e rifiuto di rientrare nelle celle). Eventi in cui non si faceva male nessuno e che fino ad oggi erano puniti con sanzioni disciplinari.
Non sappiamo quanti detenuti abbiano partecipato alle proteste collettive. Supponiamo siano solo tre detenuti a protesta e già arriviamo a ben 4 mila detenuti coinvolti. Il prossimo reato di rivolta penitenziaria, prosegue, prevede pene elevatissime. Supponiamo che i 4 mila detenuti siano condannati, per avere protestato senza violenza, a una media di 4 anni di carcere l'uno. A causa del ddl sicurezza sono dunque in arrivo 16 mila anni di carcere contro persone, già detenute, alle quali sarà peraltro escluso l'accesso alle misure alternative. Una ricetta perfetta per far definitivamente esplodere il nostro sistema penitenziario e seppellire in carcere migliaia di persone, selezionate ovviamente tra i più vulnerabili (minori, persone affette da problemi psichici, tossicodipendenti).
No ad aprire carceri italiane in Albania
Davanti alla difficoltà di implementazione del Protocollo Italia-Albania, sembra si stia ragionando sulla conversione dei centri albanesi in vere e proprie carceri in cui trasferire detenuti di nazionalità albanese che si trovano attualmente reclusi in un istituto penitenziario italiano, si legge ancora nel report. Un piano di delocalizzazione penitenziaria profondamente contrario al principio di non discriminazione e potenzialmente lesivo dei diritti delle persone detenute (in particolare diritto alla rieducazione, alla salute, alle relazioni affettive, all’istruzione e al lavoro). Un piano che determinerebbe un’inaccettabile incertezza giuridica nell’esercizio della funzione penitenziaria, soprattutto in riferimento ai diritti fondamentali delle persone detenute e alla supervisione giurisdizionale. Piuttosto che spendere decine di milioni di euro per aprire un carcere italiano in Albania, tali cifre potrebbero essere utilizzate per migliorare la qualità della vita nelle carceri italiane, sia degli operatori penitenziari che delle persone ristrette, conclude il rapporto