28 giugno 2017 ore: 12:08
Giustizia

Carcere e dipendenze: allo studio un protocollo per favorire le misure alternative

Il documento accorcia le distanze tra la magistratura di sorveglianza e i servizi per le dipendenze patologiche ed è stato proposto da Federserd. Ancora troppo alto il numero dei detenuti tossicodipendenti. "C’è bisogno di avvicinare i linguaggi, i mezzi, i metodi e la formazione professionale”
Carcere, corridoio con celle aperte

PADOVA – Un protocollo operativo nazionale che accorci le distanze tra i Serd (servizi per le dipendenze patologiche) e la magistratura di sorveglianza chiamata a valutare le richieste di misure alternative nei confronti dei detenuti con problemi di dipendenza. Un “ponte di mediazione culturale che contribuisca ad avvicinare i linguaggi, i mezzi, i metodi e la formazione professionale”, favorendo l’accesso alle misure di comunità a scopo terapeutico. E’ quello che arriva da FeDerSerD, la Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, che proprio in queste ore ha inviato il documento all’attenzione del Conams, il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza.

“L’idea – ha spiegato Gianna Sacchini (direttivo FeDerSerD,) presentando il protocollo nel corso del convegno ‘L’esecuzione penale esterna per i consumatori di sostanze, autori di reato: come cambiare il paradigma’ – nasce da una constatazione largamente condivisa: il procedimento propedeutico per la concessione dell’affidamento in prova in casi particolari è, nella legge e nella prassi, insoddisfacente. Per questo abbiamo provato ad intervenire sulle carenze collegate al percorso che accompagna l’affidamento terapeutico. Il processo di formazione degli elementi di conoscenza da offrire al giudice è estremamente disomogeneo e questo determina l’inaccettabile conseguenza che, a parità di situazione oggettiva del richiedente, l’esito del giudizio varia sensibilmente a seconda del Servizio competente ad istruire e del magistrato competente a decidere”.

L’obiettivo è comune e riguarda il corretto svolgimento del procedimento attraverso cui applicare l’affidamento terapeutico e appare “estremamente importante – ha sottolineato Sacchini -  provare insieme, pur se con angolazioni, sensibilità professionali e prospettazioni diverse, ad analizzare la situazione attuale, a identificare le criticità e ad elaborare una metodologia che ne consenta il superamento o, almeno, un significativo contenimento. Il protocollo che abbiamo elaborato va esattamente in questa direzione e vuole perseguire proprio questo obiettivo strategico”.

Gli operatori auspicano da un lato uno stesso rigore nelle procedure e nella metodologia seguita dai Servizi nel predisporre i documenti che devono essere presentati al giudice, e dall’altro, “una maggiore uniformità e prevedibilità decisionale da parte della magistratura di sorveglianza che, verosimilmente, si sentirebbe impegnata a tenere nella dovuta considerazione gli allegati prodotti secondo contenuti e modalità che ha concorso ad elaborare”. Il protocollo ha cercato di individuare, nei passaggi operativi fondamentali, canoni più appropriati e standardizzati, per ridurre sensibilmente la disparità dei criteri e delle modalità adottate per predisporre la documentazione e, quindi, favorire l’accesso all’affidamento terapeutico ogni volta che ne sussistono i presupposti.

Un obiettivo, quest’ultimo, che può sembrare scontato ma che nella realtà non trova sempre riscontro. Nonostante le leggi siano a favore della cura piuttosto che della restrizione della libertà personale, resta significativo il numero dei tossicodipendenti condannati a pena definitiva e che non usufruisce della misura alternativa a scopo terapeutico, nonostante sia in possesso dei requisiti previsti. “E proprio questo obiettivo – è stato sottolineato durante l’incontro - suggerisce una preziosa indicazione: i criteri procedurali non devono essere soltanto uniformi, appropriati e attendibili, ma dovrebbero essere concepiti in funzione dei parametri normativi che guidano la decisione del giudice. Accade infatti più di quanto non si pensi, che gli elementi prodotti dai Servizi non sono ritenuti sufficienti per le valutazioni a cui il giudice è chiamato. E’ il caso della ‘non strumentalità’ della richiesta da parte del detenuto, dell’attualità della dipendenza e dell’idoneità del programma terapeutico a fini di recupero e di prevenzione”.

La proposta di protocollo, sostenuta sin dall’inizio dal presidente di FeDerSerD, Fausto D’Egidio, è stata trasmessa al Conams per le valutazioni e “l’auspicata condivisione”.
“Abbiamo molto polimorfismo nei Serd e nelle magistrature di sorveglianza dei vari territori – spiega il presidente Fausto D’Egidio - e il nostro obiettivo, senza avere alcuna velleità di suggerire o attendere modifiche legislative, è quello di fare in modo che ci sia una omogeneità di offerta di informazioni alla magistratura di sorveglianza, rispondente anche ai bisogni di chi ha una lettura diversa di questo problema. La necessità è diventata stringente con l’impegno che, con fatica, la nostra nazionale riesce ad assolvere rispetto all’Europa e che riguarda il carico di detenuti nelle carceri. L’impegno dello Stato italiano è liberare quanto più possibile le carceri dai tossicodipendenti, il nostro obiettivo è che sia quanto più possibile garantita la possibilità di cura ai pazienti tossicodipendenti che, spesso, sono ristretti per reati commessi sotto l’effetto o per il bisogno di procurarsi la droga. La legislazione c’è, ma i protocolli devono servire per garantire quanto più possibile cure sicure ai pazienti. Ci sono spinte a volte anche estreme in una direzione o nell’altra: chi li vorrebbe tutti in carcere e chi vorrebbe che lo stigma ‘tossicodipendente’ fosse una patente di pirandelliana memoria per evitare il carcere. La spinta forte è rendere quanto più di qualità e professionale la collaborazione che i Serd sono dare ai tribunali di sorveglianza”. (Teresa Valiani) 

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