Carcere, le difficoltà della medicina penitenziaria dopo la pandemia. “Suicidi, conseguenza sistemica”
Gli ultimi dati sui suicidi nelle carceri e le tensioni emerse rappresentano solo la punta di un iceberg che è costituito anche dai limiti cronici della sanità penitenziaria. La Simspe – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria - lavora da anni sul complesso sistema delle carceri, in cui ogni anno transitano oltre 100 mila persone, alle quali deve essere costituzionalmente garantito il diritto alla salute, obiettivo non semplice, complicato da un’organizzazione disomogenea, dal riferimento a due dicasteri, Giustizia e Salute, e alle organizzazioni sanitarie regionali.
“La grave carenza di personale sanitario e di formazione specifica, le difficoltà operative per il personale infermieristico, l’assenza di un reale coordinamento tra le regioni sono oggi i problemi principali, che si traducono in un’assistenza sanitaria segnata da gravi criticità, prima fra tutte la carenza di personale”. Questo uno dei principali messaggi emersi dal XXIII Congresso Simspe – Agorà Penitenziaria -, tenutosi a Roma il 17-18 novembre. Malattie infettive, psichiatriche e odontoiatriche, accreditamento socio-sanitario nelle comunità confinate sotto i riflettori.
“Il Covid-19 ha colpito la medicina penitenziaria non solo per un il numero di contagi e le complesse attività di prevenzione e vaccinazione, ma per l’effetto dirompente della pandemia su tutto l’assetto sanitario nazionale e in particolare sulla medicina territoriale di cui la sanità penitenziaria fa parte – ha sottolineato Luciano Lucanìa, presidente Simspe –. Il passaggio delle competenze dal dicastero della Giustizia al SSN, avvenuto nel 2008 in modo disordinato, ha provocato una frammentazione tra i servizi che le diverse regioni sono in grado di erogare. A questo si aggiunge il complesso problema emerso dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari nel 2015: i soggetti in misura di sicurezza avrebbero dovuto confluire nelle neo istituite Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), ma proprio le carceri ancora ospitano detenuti in attesa di Rems o altra sistemazione residenziale. Queste condizioni incidono non solo sui servizi, ma anche sulla disponibilità dei medici ad accettare di lavorare in un sistema che in questo momento presenta gravissime criticità”.
“La pandemia ha sottratto energie e risorse alle attività nelle carceri – ha spiegato Sergio Babudieri, direttore scientifico Simspe –. Il personale sanitario che opera nelle carceri non è fisso e le altre opportunità emerse hanno ulteriormente depauperato questa categoria. In questi anni abbiamo realizzato importanti risultati: i dati raccolti sull’Epatite C hanno permesso di eliminare il virus nella popolazione carceraria di diversi penitenziari, gli screening per l’HIV hanno consentito di avviare i relativi trattamenti. Gli stessi detenuti si sono rivelati collaborativi, a seguito delle attività informative che gli hanno permesso di comprendere il contributo che si offriva a tutela della loro salute. La pandemia ha interrotto questo processo virtuoso e dopo il lungo stop dovremo ripartire con processi di screening, informazione e formazione”.
L’aumento dei suicidi come conseguenza sistemica
Sono 77 in poco più di 10 mesi i suicidi in carcere registrati nel 2022. Un numero impressionante, senza paragoni in epoca recente. “Questo dato deve farci riflettere, ma ancora più rilevanti sono i dati che abbiamo in modo parziale o che non possiamo reperire – spiega Luciano Lucanìa – Bisognerebbe sapere, ad esempio, quanti siano i detenuti che hanno tentato il suicidio senza riuscirci. O anche le statistiche su italiani e stranieri, su coloro che sono in custodia cautelare e quanti in espiazione di pena, le condizioni nelle quali si vive in carcere, tra sovraffollamento, promiscuità, con sentimenti di disperazione e frustrazione. In queste condizioni non è semplice identificare chi abbia realmente una malattia mentale che può portare al suicidio. Queste lacune non si colmano con la burocrazia, ma con un’azione di sistema, dove SIMSPe e il personale sanitario possono partecipare, anche se componente minoritaria: affinché il supporto scientifico sia concreto, è necessario che gli istituti siano sicuri per il personale sanitario e dotati delle risorse necessarie. Serve una nuova cultura del carcere, basata su una visione che consenta al detenuto di vivere l’esperienza in maniera corretta”.
Problema odontoiatrico quale emergenza reale
Fra le varie tematiche affrontate nel Congresso è emerso tra gli altri con particolare significato il problema odontoiatrico quale emergenza reale. Talvolta sottovalutati, i problemi odontoiatrici rappresentano una realtà che grava pesantemente sulla salute dei detenuti. “Il reddito del 90% dei detenuti è inferiore al livello della soglia di povertà e altrettanti hanno un basso livello culturale e di istruzione; il 30-40% dei detenuti è tossicodipendente e altrettanti fanno uso di psicofarmaci, elementi che portano a una soglia del dolore più elevata con la conseguente indifferenza algica e disinteresse per eventuali cure mediche – sottolinea Mario Zanotti, specialista ambulatoriale ULSS 9 Verona, dentista presso casa circondariale Montorio, Verona –Da questi dati si evince che un numero assai elevato di detenuti necessita di cure odontoiatriche, spesso anche molto più ampie e complesse rispetto alla società civile. Anche il bruxismo (il digrignamento dei denti) interessa il 30% della popolazione generale ma sale rapidamente al 70% nella popolazione penitenziaria e può rappresentare l’emblema del livello di tensione emotiva dei soggetti privati della libertà. Per far fronte a questo servono professionisti e strutture adeguate. Nello studio su alcune case circondariali (Verona, Cagliari, Potenza, Trento, Milano Bollate) in relazione al periodo 2017-2018 risulta che nessuna protesi è stata confezionata a livello degli istituti penitenziari; sono state confezionate a carico del SSN solamente 6 protesi mobili (tutte a Potenza), ma non in carcere, bensì in ospedale. Tuttavia, le esigenze protesiche, erano e restano infinitamente più grandi. In breve, un detenuto non ha possibilità di ottenere una protesi che non sia a pagamento. Le conseguenze di questa situazione sono diverse: anzitutto, vi è un aspetto fisico, per cui queste persone non possono alimentarsi correttamente, ma devono ricorrere a cibi tritati o liquidi (dieta semisolida), rinunciando alla capacità nutrizionale oltre che al piacere della tavola. In secondo luogo, c’è un aspetto psicologico: senza denti non si riesce a sorridere, si riduce l’autostima e la considerazione di se stessi, in un ambiente che già di per sé provoca difficili condizioni psicologiche che spesso inducono alla depressione e in diversi casi al suicidio. La mancanza di cure odontoiatriche non è una causa diretta di questi fenomeni, ma può considerarsi una concausa”. Le cure odontoiatriche quindi spesso sono sottovalutate, eppure hanno un effetto sul fisico e sulla psiche dei detenuti.