Carcere, per le misure alternative solo 102 volontari su 10 mila. "Paradosso della legge"
ROMA – Sono circa diecimila i volontari che lavorano dentro il carcere, ma sono solo 102 in tutta Italia quelli impiegati fuori dagli istituti per l’esecuzione penale esterna. Un paradosso legato a un ostacolo legislativo che non permette di far lavorare le persone provenienti dal mondo dell’associazionismo anche per le misure alternative. “Da tempo chiediamo al ministro Orlando di intervenire su questo tema, ma non abbiamo ottenuto nessuna risposta. Eppure si tratta solo di una questione di volontà politica”. A denunciarlo è Guido Chiaretti, presidente di Sesta opera S. Fedele onlus nel corso della conferenza stampa organizzata oggi a Roma, dal Centro nazionale per il volontaritato e la fondazione Volontariato e partecipazione, per presentare i dati del dossier “La certezza del recupero”.
“Dal 2004 abbiamo un protocollo d’intesa con l’Uepe, l’ufficio per l’esecuzione penale esterna – spiega Chiaretti – ma per ora a Milano siamo riusciti a impiegare solo 15 volontari. La situazione non è rosea neanche nelle altre città. Il numero maggiore di volontari lo troviamo in Liguria, dove sono 25, numero comuque risibile rispetto alle potenzialità di questo mondo. Mentre in città grandi come Roma, Napoli e Palermo, non c’è neanche un volontario occupato nell’esecuzione penale esterna”. Il problema risiede nelle restrizioni contenute nell’ordinamento penitenziario: se infatti l’articolo 17 e 18 della legge 354 permettono alla società civile di entrare in carcere e svoglere attività di volontariato, per le misure alternative vale l’articolo 78, riferito agli assistenti volontari, molto più restrittivo. “Se per una richiesta relativa all’articolo 17 la risposta arriva nel giro di un paio di settimane – spiega ancora Chiaretti – nel caso dell’articolo 78 si aspetta oltre un anno. E io così ho perso molti volontari che voleva offrire gratuitamente la loro opera. Questo è un paradosso assurdo, tanto più a fronte della ristrettezza di risorse in cui operano gli uffici dell’esecuzione pensa esterna, per i quali il ministero spende solo 500mila euro l’anno. Sono per primi i dirigenti Uepe a chiederci di alzare la voce su questo che è un mondo invisibile”.
Nel corso della conferenza stampa è stato presentato anche un documento sulla riforma delle pene detentitive non carcerarie, una serie di osservazioni e proposte sui decreti attuativi della legge delega n.67 del 2014 che sono in fase di emanazione. Tra questi, in particolare, si chiede appunto di riformare gli arti 17 dell’ordinamento penitenziario e l’articolo 120 del regolamento del 2000 “per consentire l’accesso della comunità esterna all’azione rieducativa in affiancamento agli Uepe”. “Lo scopo di queste modifiche – si legge ancora nel documento – è consentire la crescita numerica del volontariato penitenziario specificamente dedito a supportare i condannati alle misure alternative”. Sono in tutto 31.045 i condannati o imputati che scontano o attendono la pena attraverso misure alternative al carcere, lavoro di pubblica utilità, misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e messa alla prova nei servizi sociali. Quasi 20 mila di loro si trovano in affidamento in prova al servizio sociale, in semi-libertà o in detenzione domiciliare. Quelli giunti alla misura alternativa al carcere dallo stato di detenzione sono 9.273. Le misure alternative coinvolgono soprattutto gli italiani e questo proprio per l'assenza di una residenza da eleggere a domicilio.
Gli altri interventi richiesti sono, innanzitutto verificare le strutture di accoglienza per i detenuti per fare in modo che ci sia la possibilità di eseguire le pene alternative, fondamentali per un reale recupero. Molti detenuti, soprattutto stranieri, non possono infatti accedere alle misure alternative perché non hanno un domicilio. Secondo le associazioni questo problema si potrebbe aggirare autorizzando le comunità di accoglienza al recupero dei detenuti con appositi protocolli e convenzioni. Si chiede poi un piano di risorse immediato su questo tema, ma anche investire sul lavoro dei detenuti. “Vogliamo che il lavoro del volontariato dentro e fuori dal carcere sia finalmente riconosciuto dal ministero – aggiunge Edoardo Patriarca, deputato Pd e presidente del Centro nazionale per il volontariato -. ma anche che siano riviste le regole di questo impegno. Il nostro secondo obiettivo è battersi perché le misure alternative siano realmente favorite e intensificate. Non solo perché abbattono la recidiva ma perché così si potrebbero produrre fino a 1500 nuovi posti di lavoro”. Secondo Patriarca le misure alternative sono anche un grande risparmio per lo Stato. Un dato ben spiegato dal report illustrato da Giulio Sensi di fondazione Volontariato e partecipazione. “Al cittadino i detenuti costano 200 euro al giorno – aggiunge Giorgio Pieri della Comunità Giovanni XXIII – un costo esagerato che si potrebbe aggirare investendo di più nelle misure alternative. Ma per fare questo serve innanzitutto un cambiamento nella piramide dei valori”. (ec)