Carcere, solo 110 volontari per chi sconta pene fuori dalle celle
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boxMILANO - Se dietro le sbarre il terzo settore conta più di 10 mila volontari, fuori ce ne sono solo 110 che lavorano con condannati che stanno ai domiciliari o scontano pene alternative. Di questi 110, venti sono a Milano. Sono i numeri impietosi svelati da Sesta opera san Fedele in occasione del convegno "Più sicurezza, più gratuità, meno carcere", in programma il 23 novembre all'auditorium san Fedele alle 9. L'associazione collabora con gli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) dal 2004: "Quando si metteranno le mani in questo settore ci si accorgerà che c'è un deserto", spiega il presidente di Sesta opera Guido Chiaretti. Eppure la collaborazione tra Uepe e terzo settore dovrebbe essere uno dei punti cardine per svuotare le carceri italiani e puntare sulle pene alternative: "Servono nuovi strumenti in un'area che non è il carcere", aggiunge. Ad oggi, però, non ci sono.
La situazione attuale è colpa di una legislazione che non aiuta. Anche in questo caso i numeri sono esemplificativi: Sesta opera ha organizzato tre corsi per volontari interessati ad aiutare l'Uepe. Si sono iscritti in 100, ma svolgere questo lavoro oggi sono in 11. "Per ottenere l'autorizzazione dal ministero della giustizia hanno dovuto aspettare anche 14-15 mesi – racconta Chiaretti – in molti hanno desistito e hanno preferito dedicarsi ad altro". La legislazione che norma il volontariato in carcere è vecchia: risale al 1975. E allora fu proprio un convegno di Sesta opera a spingere la politica a votare la legge 354, ancora in vigore, con cui si sono aperte le celle ai volontari. "Ora i tempi sono maturi per vivere una stagione simile ma per dare dignità a chi fa il volontario fuori dai penitenziari", commenta Chiaretti. È così che Sesta opera spera di poter festeggiare i suoi 90 anni, proprio in occasione del convegno di Milano del 23 novembre.
Il lavoro è difficile soprattutto dal punto di vista culturale. Il concetto di pena alternativa è fuori dall'immaginario collettivo: il posto non è molto ambito, nemmeno tra chi vuole dedicare il suo tempo a chi deve scontare una pena. "È un volontariato più difficile, perché oltre al condannato spesso si ha a che fare con la famiglia, con cui magari c'è un rapporto conflittuale, e con le difficoltà che si hanno nel ricominciare a vivere", continua Chiaretti. Tutte queste componenti insieme diventano un deterrente per chi vuole impegnarsi in questo settore: "In questo modo noi per primi abbiamo sprecato tre corsi di formazione", conclude il presidente di Sesta opera. (lb)