19 febbraio 2014 ore: 15:45
Giustizia

Carcere, solo lo 0,17% della spesa per le misure alternative

Riunite a Roma le principali realtà del terzo settore per elaborare una proposta di legge. Tra i temi il rapporto tra Dap e mondo del volontariato, l'istituzione di un tavolo permanente sulle pene alternative. Patriarca: “Su questi temi Renzi lo aspettiamo al varco”
Luigi Gariglio/Contrasto Corridoio carcere con celle aperte

ROMA – Per le misure alternative al carcere l'amministrazione penitenziaria italiana spende quasi quanto il servizio di asilo nido per i figli dei dipendenti: la cifra di gestione degli Uepe (secondo il bilancio di previsione del Dap 2013) è infatti pari a 471mila euro (417mila è la spesa per gli asili) che corrisponde allo 0,17 per cento delle spese carcerarie nel suo complesso, pari a quasi 3 miliardi di euro (2.800.966.213). E' questo uno dei paradossi messi in luce dal gruppo di lavoro, capeggiato da Edoardo Patriaca, deputato Pd e presidente del Cnv (Centro nazionale volontariato) che sta elaborando una proposta di legge sul carcere basata innanzitutto sulla valorizzazione delle pene alternative e sull'inserimento e l'accoglienza dei detenuti. Il gruppo, che ha scelto il nome “La certezza del recupero”, ed è formato dalle principali realtà di Terzo settore che si occupano di detenuti: dal Seac al Cnv, alla Caritas, Sesta opera San Fedele di Milano e l'associazione Papa Giovanni XXIII, si è riunito oggi a Roma per dialogare sul tema.

“La spesa per le misure alternative è del tutto residuale – sottolinea Luisa Prodi del Seac – un investimento che ci dice che abbiamo solo il sistema carcerario in testa e non consideriamo le altre possibilità. E' necessario invece un totale cambiamento di assetto”. Ma sul piatto della bilancia, oltre al tema delle risorse, c'è anche il rapporto tra amministrazione penitenziaria e mondo del volontariato. Ad oggi, per effetto della legge, sono solo 102 i volontari ex art.78 (persone che su proposta del magistrato collaborano con istituti penitenziari e Uepe) che collaborano con l'esecuzione penale esterna, presenti in 28 sedi Uepe su 82. La maggior parte si trova in Liguria, Lombardia, Triveneto e Toscana mentre sono totalmente assenti in regioni come Lazio, Marche, Puglia e Basilicata. “Questo vuol dire che le organizzazioni cosiddette della comunità esterna, e cioè la società civile, possono operare dentro al carcere ma non possono collaborare con gli Uepe sul territorio – sottolinea Guido Chiaretti, dell'Opera S.Fedele di Milano -. Quando è stata fatta la legge, infatti, non si pensava a una situazione come quella attuale: l'articolo 17 della legge 354 del 75, non prevede le organizzazioni di volontariato come soggetti delle misure alternative”. Necessario secondo il gruppo di lavoro è dunque l'estensione dell'articolo 17 e dell'articolo 120 del Regolamento del 2000 per consentire l'accesso all'azione rieducativa del Terzo settore in affiancamento gli uffici di esecuzione esterna. Si chiede inoltre di rivedere le procedure d i concessione delle autorizzazioni ex articolo 78, “a tutt'oggi troppo lente e di fatto inefficaci”.

“Chiediamo un riconoscimento a livello normativo e amministrativo delle esperienze di reinserimento sociale presenti sul territorio -spiega Patriarca – bisogna ampliare le misure alternative per recuperare lo spirito della Carta costituzionale. Questo potenziamento deve prevedere un alleanza tra Pubblica amministrazione, enti locali e Terzo settore. Questo è un tema che auspichiamo sia al centro delle scelte del nuovo governo. Sul carcere come sul cinque per mille e il servizio civile Renzi lo aspettiamo al varco – aggiunge – anche per la scelta dei ministri competenti”.

Tra i punti del disegno di legge che verrà elaborato dal gruppo “La certezza del recupero” anche la riformulazione degli articoli 73-77 sul Consiglio di aiuto per un reale accompagnamento e reinserimeno delle persone detenute. Infine il testo della proposta prevederà anche l'istituzione di un Tavolo di lavoro permanente dedicato alle misure alternative. “Ci sono circa duemila nostri operatori che operano nelle carceri – aggiunge Francesco Marsico, di Caritas Italiana - si tratta di una realtà che aspetta un riconoscimento perché il dettato costituzionale diventi carne e sangue di questo paese. Non dobbiamo solo pensare per slogan, alla certezza della pena – aggiunge – ma alla giustizia della pena. Quello che notiamo è c'è una differenziazione carceraria in base alla condizione sociale dei detenutie una carcerizzazione eccessiva di alcune tipologie, come immigrati, tossicodipendenti”. La proposta di legge elaborata dal gruppo verrà presentata a Lucca nel corso del Festival del volontariato che si svolgerà ad Aprile. “Per l'occasione inviteremo il prossimo ministro della Giustizia a dialogare con noi su questi temi – aggiunge Patriarca – siamo convinti che questa sia una battaglia giusta su cui si deve misurare il nuovo Parlamento”. (ec)

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