27 luglio 2017 ore: 12:10
Giustizia

Carcere, torna il sovraffollamento. Ma preoccupano anche lavoro e rapporti familiari

La denuncia dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane. Tra i 52 penitenziari visitati, sono quattro quelli in cui non è garantita la superficie minima. In quasi sette istituti su dieci ci sono celle senza la doccia e solo in uno è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti
Francesco Cocco/Contrasto Carcere, detenuti dietro grata lungo un corridoio

ROMA - Il sovraffollamento penitenziario torna a far parlare di sé. Anche se siamo lontani dagli anni della sentenza Torreggiani, i dati raccolti dall’associazione Antigone e presentati oggi alla Camera dei deputati nel Pre-Rapporto 2017 sulle Carceri sono preoccupanti. A partire dal dato nazionale del sovraffollamento, oggi fermo al 113,2 per cento, ma con una capienza regolamentare su cui si misura il tasso di affollamento da “prendere con le pinze”. Le visite condotte nei 52 istituti penitenziari da parte dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione hanno portato gli stessi attivisti a considerare il tasso medio di affollamento del 113,2 per cento “certamente sottostimato” a causa di strutture non utilizzate, padiglioni chiusi o in attesa di ristrutturazione, come avviene a Nuoro, Livorno, Civitavecchia e Arezzo. In altri istituti, invece, l’affollamento è tangibile. Come accade a Como, dove il tasso di affollamento è del 186,6 per cento. Oppure a Busto Arsizio dove si arriva al 174,2 per cento.

Conseguenza inevitabile, spiega il rapporto, è quindi scendere sotto la soglia minima dei 3mq per detenuto in alcuni istituti di pena. “Nei 52 istituti da noi visitati nel 2017 in 4 ci sono celle in cui non è garantita la superficie minima di 3mq per detenuto – spiega il rapporto -. Sono Busto Arsizio e Como, dove in varie sezioni si è tornati ad ospitare 3 detenuti per camera, sfiorando il limite dei 3mq per detenuto e violando certamente il limite di 3mq “calpestabili” per detenuto, ma anche Campobasso e la Casa Circondariale Palermo “Pagliarelli”, dove le celle per 2, che ospitano in tutto circa 700 detenuti, misurano (dati forniti dal personale) 9,25 mq escluso il bagno: questo significa che, tolti gli ingombri, lo spazio di movimento risulta di circa 2,25mq pro-capite”.
Non è solo l’affollamento a preoccupare. In quasi sette istituti su dieci visitati da Antigone ci sono celle senza la doccia (come invece richiesto dall’art. 7 del DPR 30 giugno 2000, n. 230), e solo in uno, a Lecce, e solo in alcune sezioni, è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti (come richiesto dall’art. 14 dell’Ordinamento penitenziario).

Sotto la lente d’ingrandimento, anche i dati raccolti sul personale degli istituti penitenziari, a partire dagli agenti. “Negli istituti da noi visitati si registra la presenza, in media, di 1,7 detenuti per ogni agente – si legge nel rapporto -. Il dato è tra i più bassi in tutta l’Unione Europea: hanno più agenti di noi in pratica solo i paesi scandinavi, che però primeggiano in molte altre statistiche, e non solo penitenziarie. Noi primeggiamo solo in quella del numero degli agenti. Che sono peraltro distribuiti malissimo. A fronte della media citata sopra, a Pavia ci sono 2,9 detenuti per ogni agente, a Salerno 2,6, mentre ad Arezzo sono 0,5 (gli agenti sono il doppio dei detenuti) e a Campobasso 0,8”. Assai più drammatica la situazione degli educatori. “A Busto Arsizio ci sono 196 detenuti ogni educatore – si legge nel rapporto -. A Bologna 139. E la situazione è critica anche per direttori e vicedirettori, che svolgono compiti delicati ed essenziali”. In quasi un istituto su tre (il 32 per cento), il direttore è responsabile di più di un istituto, mentre è quasi sparita la figura del vicedirettore. In 7 istituti su dieci di quelli visitati non ci sono vicedirettori e nel 20 per cento ce n’è uno solo”.

L’osservatorio, infine, ha raccolto anche altri dati che riguardano il lavoro in carcere, il rapporto tra detenuti e familiari e anche l’uso della cartella clinica informatizzata che garantisce che le informazioni sanitarie del detenuto si spostino facilmente da un istituto all’altro. In quest’ultimo caso, spiega l’associazione, solo nel 26 per cento degli istituti visitati, quindi circa uno su quattro, è in uso. Per quanto riguarda il lavoro, invece, sono coinvolti circa il 30 per cento dei detenuti, tre su dieci, ma nel 26 per cento degli istituti visitati non ci sono datori di lavoro esterni, nel 6 per cento non ci sono corsi scolastici attivi e nel 43 per cento non ci sono corsi di formazione professionale. Lontano l’orizzonte dell’accesso a internet per avere contatti con i propri familiari. I colloqui via Skype, infatti, sono possibili solo ad Opera, tra gli istituti visitati dall’associazione. Mentre un qualche accesso ad Internet ai detenuti è possibile solo nella Casa di reclusione di Alessandria.

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