9 dicembre 2017 ore: 09:29
Disabilità

Caregiver e lavoro: assistenza e flessibilità rendono possibile la conciliazione

Fabio si prende cura da solo di suo figlio autistico. M. ha perso il lavoro diventando “caregiver” di sua mamma, malata di Sla: “Dormo 3 ore a notte perché l'assistenza c'è solo di giorno”. Un supporto maggiore, a casa e al lavoro, renderebbe più semplice la “conciliazione”
Caregiver, assistenza: mani

ROMA – Difficile, ma non impossibile: anche il caregiver, che si prende cura ogni giorno di un familiare con disabilità, può e spesso vuole lavorare fuori casa. L'impresa però è complicata dall'inesistenza di tutele e sostegni adeguati, come il prepensionamento, o un'adeguata assistenza domiciliare. Oppure modalità lavorative “flessibili”, che semplifichino l'organizzazione quotidiana e facilitino la conciliazione tra assistenza e lavoro. E' quanto emerge dalle storie di alcuni caregiver.

-Fabio è il papà di un ragazzo autistico di 20 anni. “Quando ricevemmo la diagnosi – racconta - lavoravo come impiegato di banca. Aveva 10 anni quando la madre se ne andò di casa. Dovevo portarlo a scuola a una certa ora e riprenderlo dopo due o tre ore, nessuno lo voleva tenere. Fui preso da rabbia e depressione, così decisi di partire con mio figlio e lasciare l'Italia, scrivendo alla banca per avere un anno di aspettativa non retribuita, perché avevo già usufruito dei 2 anni pagati. Seppi dopo 7 mesi che la banca non aveva accettato la mia richiesta e venni licenziato per giusta causa, non essendo rientrato a lavorare nei termini di legge. Tornai in Italia dopo un anno e mezzo, senza lavoro e con mio figlio. Sono più di dieci anni che sono senza lavoro, faccio qualche ora in una palestra per le pulizie, ma è molto dura, essendo anche io invalido al 67%. Però cerco di non fargli mai mancare niente”. 

M. ha 38 anni e per 24 mesi è stata caregiver h 24 della mamma. "E' vedova e non autosufficiente. Riesco a fare solo lavoretti saltuari in nero, pagati pochissimo. In passato ho lavorato per 15 anni nel comparto finanziario e della mediazione creditizia, come analista del credito e impiegata amministrativa, poi ho dovuto lasciare per occuparmi di mia madre. Ora non riesco a rientrare nel mondo del lavoro, a trovare un'occupazione vera: ho 38 anni, sono donna e forse potrei avere ancora figli, quindi per le aziende non esisto. Inoltre non posso lavorare su turni, perché nei fine settimana non ho la badante con lei. Vorrei tanto lavorare e potrei farlo in alcuni giorni della settimana: anzi dovrei farlo, per pagare la persona che la assiste. Ma avrei bisogno di un lavoro che non fosse su turni e nel week end: un lavoro regolare, in cui usufruire di permessi. Magari un part- time verticale. Non vedo un futuro per me, né personale né lavorativo. Non lo vedo ormai da tre anni”. 

A. ha 58 anni, vive in Salento ed è caregiver della madre, che ha la Sla. “Nel fine settimana le presto assistenza h 24 – ci racconta – mentre nei giorni feriali ho assunto due collaboratrici, ma dalle 20 alle 7,30 mi occupo da sola di lei. Non dormo più nel letto ma in una poltrona, nella sua stanza, per intervenire al bisogno, specie per le frequenti broncoaspirazioni. Attualmente lavoro, sono psicologa, non ho mai smesso tranne per un periodo di congedo per assistenza alla mamma dopo la tracheostomia. Con relativa decurtazione dello stipendio. Dopo la diagnosi di Sla, ho dovuto lasciare il lavoro, che svolgevo con grande soddisfazione, per cercare una collocazione più vicina a casa, avere più tempo per l'accudimento, tornare velocemente a casa per le tante emergenze. Lavoro perché sono la fonte del mio mantenimento e, in parte, di mia madre. Non è facile perché dormo pochissimo: due o tre ore a notte. Avrei bisogno di beneficiare di assistenza notturna, per poter recuperare il mio cronico stato di stanchezza, che inevitabilmente ha ripercussioni su rendimento, motivazione, attaccamento. E al tempo stesso potrei essere tranquilla che la mamma sia presa in carico adeguatamente da personale dedicato e competente”. 

Dora ha 50 anni e vive a Giugliano, in provincia di Napoli. E' caregiver di sua figlia di 11 anni. “Sono conducente di linea – ci racconta – Prima lavoravo a tempo pieno, scegliendo turni serali per seguire meglio mia figlia. Poi le cose si sono complicate, ho usufruito di permessi per i periodi critici. Da circa tre anni lavoro part time, rinnovando la domanda ogni anno e ricevendo risposta sempre all'ultimo momento. Lavoro soprattutto il sabato e la domenica, per me il riposo non esiste. In settimana seguo mia figlia, tra terapie, pratiche all'Asl, scuola, comune, Inps, medici, ospedali, fisiatria, ortopedia, logopedia, comunicazione aumentativa alternativa. Spesso al lavoro devo scontrarmi con i superiori: ultimamente ho ricevuto anche una contestazione per aver spostato il giorno programmato per la 104. Ma io faccio fatica anche a fare la spesa...”. 

Giulia ha 45 anni ed è la mamma di un bambino di 9 con ritardo mentale medio, nanismo primordiale e microcefalia. “Ho lavorato per tre anni con un contratto part-time a tempo indeterminato. Poi sono stata licenziata senza preavviso al rientro del funerale di mia madre. Mi sono sentita dire che mio figlio era un 'peso' per l'azienda. Non ho mai usufruito della 104, in quanto ne gode il papa’. Ora facciamo i conti anche con taglio alle ore di sostegno del comune; mio figlio deve frequentare la scuola tempo pieno, per darmi la possibilità almeno di 'lavoricchiare' con ritenuta d’ acconto...”. (cl)

 

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