9 dicembre 2017 ore: 09:32
Disabilità

Caregiver e lavoro, il "sogno" del prepensionamento

Le storie di cinque caregiver lavoratori, accomunati dalla preoccupazione di una pensione troppo lontana. “Se non sarà approvata una legge che ci permetta il prepensionamento, sono sicura che mi licenzierò. Non posso più sostenere questo carico e devo decimarmi alla costruzione di un dignitoso 'dopo di noi' per mio figlio”
Caregiver, badante di spalle

ROMA – Lavorare è una necessità, ma anche un desiderio o un'aspirazione, per chi si prende cura di un familiare disabile. Non è una scelta “vivere agli “arresti domiciliari”, come molti definiscono la propria condizione. C'è bisogno però che l'impegno della cura, con le sue fatiche fisiche e mentali, sia riconosciuto e, proprio al pari di un “lavoro usurante”, generi tutele e diritti adeguati. Primo fra tutti, il diritto al prepensionamento. Come chiedono Valentina, Maddalena, Mary, Michele e Maria, raccontandoci le loro storie. 

-Valentina ha 48 anni, vive a Milano ed è mamma e caregiver di Simone, 21 anni e una grave malattia rara degenerativa. “Simone frequenta il centro diurno e questo mi permette di lavorare - racconta -, Ho un part time di 6 ore ma il luogo di lavoro dista 30 chilometri da casa, che significa circa un'ora di viaggio ogni giorno. Da oltre un anno non riesco a lavorare più di 5 ore al giorno: utilizzo le ore di 104, ma non mi bastano e quindi aggiungo ore di permessi. Mio marito lavora fuori casa dalle 7 alle 18, perciò la gestione di Simone è tutta mia. Andare in prepensionamento sarebbe un sogno che si avvera!” 

Maddalena è la mamma di una ragazza di 18 anni, disabile al cento per cento. “Io lavoro in ospedale – ci racconta - utilizzando la 104 in ore per poter accudire al meglio mia figlia. Per tutelarla avevo protocollato la mia richiesta, specificando gli orari in maniera tassativa. Il mio tempo libero è ridotto al minimo, la carriera saltata. Ma va bene per me: una scelta d'amore verso mia figlia. La mia speranza è di poter andare in prepensionamento”. 

Mary è la mamma di un ragazzo di 26 anni, divenuto disabile a 21 per un brutto incidente stradale. “Lavoravo – ci racconta - e usufruii allora di un congedo parentale, perché allora il mio quarto figlio aveva due anni. Poi ho preso un'aspettativa non retribuita per due anni, finché nel 2015 ho dovuto lasciare il lavoro, perché della 104 usufruisce mio marito. Chiesi un part-time, ma mi fu negato: non mi restò che licenziarmi. Ora, dal 2016 sto lottando contro un tumore al polmone: così mio marito deve seguire me e nostro figlio. I 6 giorni di congedo per la 104 non gli bastano per assisterci. Quando rientra dal congedo, viene sempre trattato male, come se fosse andato a divertirsi. Non so se di questo passo mio marito riuscirà ad arrivare alla pensione, perché mio figlio non è più autosufficiente io non posso più fare molto. Abbiamo chiesto se potesse andare in pensione anticipata, ma risulta che debba lavorare altri 11 o 12 anni! Io mi chiedo se ce la farà...” 

Michele ha 56 anni e vive a Mestre. “Sono caregiver di mio figlio disabile da 20 anni – ci racconta - ovvero da quando è venuta a mancare la mamma (mia moglie). Il compito mi assorbe in ogni momento della giornata ma soprattutto della notte, poiché dorme poco. Fortunatamente ho ancora un lavoro, anche se nel tempo sono stato dimensionato ed ogni volta che prendo un periodo di aspettativa, al mio rientro mi ritrovo in un altro ufficio! Hanno anche cercato di licenziarmi, ma per fortuna in ditte di medie proporzioni un minimo di protezione l'abbiamo ancora! Ho 33 anni di contributi e non vorrei più lavorare: le giornate sono lunghissime e i fine settimana trascorrono nell'organizzazione del cibo e della spesa per la nuova settimana. Se poi penso alla pensione, mi viene da piangere...”. 

Maria ha 59 anni e assiste suo figlio di 25 anni, che ha la sindrome di Angelman e non è autosufficiente. “Sono psicologa e ho sempre lavorato – ci racconta - ma naturalmente ho dovuto mettere da parte qualsiasi ambizione carrieristica e chiedere periodi di aspettativa e di part-time. Mi angoscia il pensiero di dover lavorare fino a 67 anni, come prevede la legge Fornero: dopo 25 anni di assistenza continuativa ci si ritrova assolutamente stressati e logorati, con sintomatologia ansiosa e disturbi psicosomatici e dell'umore. Se non verrà presto approvata una legge che ci tuteli e ci dia un prepensionamento, sono sicura che mi licenzierò, perché non posso più sostenere questo carico. Ma anche perché devo dedicarmi a costruire per mio figlio un dignitoso 'dopo di noi'”. (cl) 

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