Caregiver familiari, il lavoro come “rimpianto”, o come “salto mortale”
ROMA – Il lavoro è un diritto, ma anche una necessità. A volte diventa un “salto mortale”, sopratuttto se in casa c'è un familiare che ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. Tanti sono i caregiver che decidono di rinunciare, per dedicarsi esclusivamente al compito di cura. Altri non possono, o non vogliono smettere di lavorare anche fuori casa: ma il tempo non basta mai e le energie tendono ad esaurirsi. Abbiamo a tre caregiver di raccontarci la loro esperienza lavorativa, in casa e fuori.
- Giusy, 60 anni, è la mamma mamma di Eveline, che di anni ne ha 33 e, a causa di un' anossia cerebrale ha una tetraparesi ipotonica distonica. “Non sta in piedi e non muove la mano sinistra, ha una grave disartria e un moderato ritardo intellettivo. Quando e’ nata io frequentavo l’università – racconta Giusy, facoltà di Medicina. Ho dovuto interrompere per seguire mia figlia. Ma questo mio sacrificio ha permesso ad Eveline di frequentare la scuola, imparare a leggere e scrivere. Ha frequentato fino al primo anno di liceo scientifico ad indirizzo informatico. E io, mentre lei era a scuola, ho ripreso a studiare medicina e nel 1992 sono riuscita a laurearmi. La vita familiare però era diventata un dramma. Il padre non ha mai accettato la situazione della figlia. Per diversi anni sfogava la sua rabbia con me picchiandomi senza motivo. Sono scappata dalla Sicilia a Milano. Ho iniziato a lavorare come medico di guardia ma dovevo portare mia figlia con me, perché la badante costava troppo e non potevo farcela. Le facevo fare turni di 48 ore, dal venerdì sera alla domenica notte, perché durante la settimana dovevo accompagnarla al Don Gnocchi, dove l’avevano presa in carico per un corso di segretaria d’azienda. E poi ritornavo a prenderla alle 16. Ma lo stipendio non bastava per pagare tutto, allora ho accettato un altro incarico nella medicina dei servizi, 12 ore a settimana, contratti semestrali rinnovati per 10 anni. Ma dopo 10 anni, al rinnovo di un ennesimo contratto, mi hanno lasciata a casa. Parlai con il direttore, con il sindacato, con l’ordine dei medici, con un avvocato': alla fine mi hanno offerto un incarico a 50 km di distanza, al che ho tirato fuori la 'Santa legge 104, ma non è servito a nulla: ho dovuto rinunciare al lavoro. Adesso sono un medico di famiglia in un paese vicino al mio. Devo pagare una badante per i pomeriggi di ambulatorio e per quando mi chiamano per le visite domiciliari. Ho chiesto si servizi sociali un aiuto: mi hanno risposto che non mi spetta perché ho un reddito alto. Non si rendono conto che sono sola, con una figlia da assistere in tutto e tante spese da pagare. Poi, non so se riuscirò a lavorare fino a 70 anni. Ho chiesto ad Enpam se fosse possibile anticipare a 65 anni e mi hanno risposto: 'Dottoressa, lei può andare, ma la pensione le arriverà dopo i suoi 68 anni e 8 mesi'. E io domando: nel frattmepo, chi mantiene me e mia figlia?”
Anna ha 48 anni ed è “mamma caregiver” da 23. “Lavoro da 29 – ci dice - facendo i salti mortali. Ma è necessario, anche se a volte per tutti in problemi e le incombenze (visite, ospedali, disbrigo pratiche, disservizi) vorrei poter stare di più a casa. Ma non posso proprio, già mi reputo fortunata ad avercelo un lavoro! Alla carriera erò ho dovuto naturalmente rinunciare. Ma vorrei poter avere almeno la certezza di servizi efficienti, che attualmente sono inadeguati o assenti e minano costantemente l'equilibrio familiare, tanto faticosamente raggiunto negli anni. Vorrei la certezza di una frequenza sicura in centro diurno, che invece è a rischio per l'assenza di fondi. Vorrei la certezza del servizio trasporti, che dipende sempre dai fondi. Vorrei la certezza di un aiuto a domicilio, che non ho mai avuto, sempre per mancanza di fondi. La nostra vita dipende tutta dal 'se ci sono fondi', che sono sempre insufficienti o, sempre più spesso, mancano del tutto”.
Sonia ha 43 anni ed è mamma e caregiver di Loris, che ha un'encefalopatia ipossico ischemica. “Sono una disoccupata con il rimpianto del mio ristorante – ci confida - Nel 2015, con mio marito ed altri 2 soci, avevamo preso in gestione un ristorantino in una località di montagna ad un'ora dalla nostra residenza, fuori regione, dove abbiamo una casa. Loris allora aveva 3 anni. Subito mi sono attivata con le assistenti sociali del luogo e con la mia, ma non ho ottenuto un aiuto neanche per poche ore al giorno. Ho trovato una ragazza che pagavo io, ma che proprio in piena stagione ha avuto un incidente e non è più potuta venire. Quindi Loris ha passato l'estate o lontano da me, con la nonna 75enne, oppure al lavoro insieme a noi, guardato dalla sorellina di 13 anni. Ho perso molti chili, per la preccupazione logorante che non fosse adeguadamente seguito: nessuno che lo metteva in statica, nessuno che lo accompagnava a fare terapie. Poi, avendo lui problemi di deglutizione, alla fine dell'estate estate era molto dimagrito. Non ce l'abbiamo fatta: alla fine dell'estate abbiamo ceduto la nostra quota e il mio sogno ai colleghi. Il mio dispiacere è sapere che se le assistenti sociali si fossero impegnate e mi avessero mandato qualcuno, ora saremmo ancora lì”.
Luigi è papà di Maurizio, che ha 19 anni e una grave disabilità, ma “la vera caregiver è mia moglie – ci racconta - Io lavoro tutti il giorno: esco alle 6 e torno alle 21. Maurizio è del tutto dipendente dalla mamma: una mamma che lavorava e che non si può permettere di non farlo e quindi si è adeguata a fare le pulizie 3 ore al giorno. Quelle libere da Maurizio, che frequenta un centro diurno. Per il resto, vita dedicata. Lui ha necessità di essere aiutato in tutto: spostarsi, vestirsi, mangiare, andare in bagno, controllo glicemico, somministrazione di farmaci... L'unico servizio di trasporto è per il ritorno dal centro diurno a casa: nessuna possibilità per l'andata. Abbiamo chiesto aiuto per lavarlo e gestirlo la mattina, ma niente da fare: non è allettato e quindi forse possono concedere un'ora alla settimana. Così tocca a noi soltanto, alla mamma soprattutto, sollevarlo, spostarlo e gestirlo. Vita sociale quasi zero, difficile portarlo fuori, soprattutto d'inverno: basta poco e si ammala. Calendario pieno zeppo di visite, controlli, incroci, ore e ore al telefono per prenotarli, ogni visita specialistica in un ospedale diverso, corse alla Asl per ritirare le forniture, per un ausilio vai dal fisiatra poi dal tecnico poi torna dal fisiatra, fai il collaudo, riporta il documento al tecnico. Servirebbe una macchina adattata, ma devo arrangiarmi con quella che ho: oggi i soldi per comprarla, anche con le agevolazioni, non ci sono e quindi sollevarlo a peso anche per salire in auto. Ed è questa la vita di mia moglie, tutti i giorni, tutto il giorno: tranne le tre ore in cui va a lavorare”.
(cl)