14 settembre 2020 ore: 14:41
Famiglia

Caso Caivano. “Cira”, “trans”, “lesbica”: se la violenza è anche verbale

di Eleonora Camilli
Maria Paola Gaglione è morta cadendo dal motorino, dopo essere stata speronata dal fratello che non accettava la sua relazione con Ciro, transessuale. Il caso accende i riflettori sulla violenza in famiglia e sull’arretratezza culturale e linguistica nel trattare i casi di omotransfobia. Eppure basterebbe seguire poche semplici regole
Lgbt, gay due mani con braccialetto arcobaleno

ROMA - Maria Paola Gaglione aveva 20 anni, è morta cadendo dal motorino nella notte tra venerdì e sabato, dopo un inseguimento e uno speronamento da parte del fratello Michele, che non accettava la sua relazione con Ciro. La sua colpa? Aver scelto un compagno transessuale. Una storia che accende di nuovo i riflettori sulla violenza agita all’interno delle famiglie, che spesso non accettano le scelte affettive dei propri cari. Ma che riporta all’attenzione anche l'arretratezza culturale e linguistica nel trattare i casi di omotransfobia. 

Come si parla delle persone transessuali?

Ciro è diventata “Cira” in alcuni servizi televisivi, di Maria Paola si è detto che fosse “lesbica”, la relazione è stata derubricata a semplice “amicizia” tra donne, si è parlato di persone “infette” e di anormalità. Quello di Caivano, però, non è un caso isolato, ma l’ultimo di una lunga serie di errori nel racconto di storie che coinvolgono la comunità Lgbt. E in particolare, le persone transgender. Come si legge su “Parlare Civile” (il progetto nato per contrastare il linguaggio discriminatorio) “sulla transessualità esiste un’ignoranza diffusa che, insieme ai pregiudizi, genera errori e confusioni nel discorso mediatico”. Eppure per evitare di sbagliare basterebbe seguire poche semplici regole.

La prima riguarda la distinzione tra identità di genere e orientamento sessuale. “La persona transessuale è considerata una sorta di “super-omosessuale”, tanto omosessuale da voler assomigliare al genere diverso dal proprio. Ovviamente non è così - si legge nel testo -. L’omosessualità segnala l’attrazione per persone dello stesso sesso ma non la convinzione di appartenere al genere opposto né l'intenzione di intervenire per modificare i propri caratteri ed attributi sessuali. Una persona transessuale o transgender, al contrario, può essere tanto eterosessuale quanto omosessuale o bisessuale. Il sentimento di appartenenza a un genere è altra cosa dall'orientamento sessuale”.

Ma l’errore più diffuso nel giornalismo riguarda l’attribuzione del genere grammaticale al soggetto transessuale. E così anche per Ciro  il discorso è stato declinato spesso al femminile. In realtà per la transessualità vale il principio dell’identità. “Se la persona di cui si parla transita dal maschile al femminile, non importa in che fase della transizione si trovi, né se si sta sottoponendo all’iter della riassegnazione chirurgica del sesso, se lei sente di essere una donna va trattata come tale. Lo stesso vale per la transizione female to male”. Come principio, dunque vanno utilizzati pronomi, articoli, aggettivi coerenti con l’apparenza della persona e con la sua espressione di genere. O più semplicemente, chiamare le persone nel modo in cui preferisce essere appellata. Inoltre, ricorda il testo “sarebbe bene ricordare sempre che appunto di persone stiamo parlando: piuttosto che il/la trans o il/la transessuale, parliamo di persona transessuale”. Per evitare errori, infine, ci sono le Linee guida dell’Unar per un linguaggio rispettoso delle persone Lgbt realizzate alla fine di un ciclo di seminari organizzati dall’UNAR in collaborazione con Redattore Sociale, con il patrocinio dell’Ordine nazionale dei giornalisti e della Federazione nazionale stampa italiana. 

Nella storia di Maria Paola e Ciro due matrici: femminicidio e transfobia

“Questa storia è la prova che non sappiamo ancora parlare civile, nelle ultime 12 ore abbiamo usato tutti i termini che non andrebbero mai utilizzati: questo incide nel racconto che facciamo delle persone, un racconto che poi arriva al lettore creando spesso confusione - sottolinea Simone Alliva, giornalista e autore di “Caccia all’Omo. Viaggio nel paese dell’omofobia”, un libro-inchiesta edito da Fandango, che racconta le aggressioni subite dalla comunità Lgbt in Italia. “Questi errori li facciamo soprattutto quando parliamo della comunità trans. E così si è usato sia il femminile che il maschile per parlare di Ciro, si è detto che erano due lesbiche, anche se in realtà non lo sappiamo. Maria Paola stava con un uomo trans, non sappiamo dunque se lei fosse omosessuale - continua Alliva -. Non credo che si tratti solo di ignoranza, sono anni che trattiamo questi temi. Spesso creiamo maschere per nascondere la realtà. Poi c’è anche chi non si informa, ma così si alimenta la mostruosità del racconto gay”. 

In “Caccia all’Omo”, Alliva dedica un intero capitolo alle violenze in famiglia, che molti ragazzi subiscono per l’orientamento sessuale. “Nella vicenda di Acerra ci sono due matrici che si incrociano: il femminicidio e la transfobia - continua l’autore -. Di femminicidio oggi si parla di più, di  transfobia molto meno, eppure ho raccolto le storie di tanti adolescenti che una volta scoperta l’identità sessuale sono stati buttati fuori casa o hanno subito violenza in famiglia. Non c’è una rete che li aiuti e le famiglie fanno molta fatica ad accettare e accogliere queste persone. Per questo è importante anche continuare a portare avanti una battaglia culturale forte”. 

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