30 giugno 2017 ore: 14:25
Disabilità

Charlie Gard, l'appello della mamma di Mele (che dipinge col corpo)

Chiara Paolini, mamma di Emanuele, 9 anni, condanna la decisione della Corte di Strasburgo. “Anche mio figlio a 5 mesi era condannato a morire presto. Ha la stessa malattia di Charlie, ma è ancora vivo e dipinge con tutto il corpo e le mani strette a pugno"
Disabilità. Mele, il Charlie Gard italiano

- ROMA - Emanuele, per gli amici Mele, ha la stessa malattia di Chiarlie Gard. Una malattia che cresce insieme a lui, ma che non gli impedisce di vivere una vita dignitosa e ricca. Per questo la mamma, Chiara Paolini, ha deciso di prendere fermamente posizione, attraverso la propria testimonianza, nella vicenda che sta suscitando reazioni in tutto il mondo, dopo che la Corte di Strasburgo ha deciso che sia staccata, proprio oggi, la spina che permette a Charlie di respirare. Per i giudici è “accanimento terapeutico”, per questa mamma è una “decisione scellerata”. Già alcuni giorni fa Chiara, fortemente toccata dalla storia di Charlie, aveva rivolto un videoappello alla Corte europea dei Diritti umani: “Vi prego di lasciare Chiarlie vivere e di non giudicare la sua vita”, chiedeva.

Ora torna a esporsi, raccontando la storia di Mele, che per i medici era condannato a morire presto, ma che oggi ha 9 anni e non solo vive, ma dipinge, con i pugni chiusi e con tutto il suo corpo, “quadri stupefacenti”, assicura la mamma, nel video “La storia di Mele, il Charlie Gard italiano”. “Quando aveva circa 2 mesi – racconta – abbiamo visto le prime crisi epilettiche. La sua è una malattia ipocondriale, metabolica progressiva a esito infausto, quindi Mele ha perso nel tempo alcune delle capacità che aveva. Per esempio, adesso mangia con un sondino nasogastrico, però la progressione non è stata rapida come ci avevano prospettato. Le persone più deboli valgono non per quello che fanno, ma perché ci sono. È molto presuntuoso, da sani, valutare la qualità della vita di chi sta male”.

Qualle della Corte di Strasburgo è per Chiara “una decisione criminale: staccare il ventilatore a una persona che dipende da esso per vivere e per respirare non è un atto di compassione o di amore: significa semplicemente ucciderla per soffocamento. La compassione significa che cammino con te, ti accompagno, non che ti ammazzo. Non si elimina il sofferente per eliminare la sofferenza”. Preoccupa anche il significato e la ricaduta di questa decisione:, che “ha ripercussioni su tutti i bambini con disabilità come mio figlio. È una decisione scellerata – conclude Chiara – perché ora sappiamo che in casi simili l'Europa non ci proteggerà”. (cl)

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