Che cos'è la giustizia? Detenuti in scena insieme agli studenti di legge
TORINO - L’anno scorso era la giustizia “riparativa”: un tentativo di immaginare una diversa risoluzione del conflitto dei conflitti, quello tra autori e vittime di reati, che per la prima volta si incontravano sul palcoscenico allestito in una delle più grandi carceri italiane. Stavolta, a leggere tra le righe, l’obiettivo è perfino più ambizioso: portare in scena l’arbitrarietà di quel sistema interiore di valori che ciascuno di noi tende a chiamare "giustizia"; e il modo in cui spesso finisca per andare in frantumi nel confronto con la legge amministrata nei tribunali.
E' così che, ieri sera, nel carcere "Lorusso e Cutugno" di Torino, il regista Claudio Montagna ha aggiunto un nuovo capitolo alla sua sistematica destrutturazione di tutto ciò che, nel senso comune, è associato all'idea di colpa. Il ciclo di rappresentazioni, che andrà avanti fino al prossimo venerdì, si chiama "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti": i detenuti del padiglione “A” sono ancora lì, a confrontarsi, stavolta, con quindici studenti della facoltà di giurisprudenza. A turno, ciascun gruppo inscena un illecito di varia natura; mentre all’altro, diviso in due fazioni, va il compito di condannare o assolvere, dibattendo sulla gravità di quanto appena visto. Come sempre, è alla legge che spetta l’ultima parola: alla fine di ogni scena è l’ex procuratore generale Gianfranco Burdino a chiarire se il pubblico in sala abbia assistito o meno al consumarsi di un reato. “La rappresentazione di ogni illecito - spiega Montagna - è volutamente ambigua. In ogni storia ci sono circostanze o ragioni personali che possono indurre a giustificare quanto commesso. In questo modo, vorremmo che il pubblico si trovasse a oscillare alternativamente tra condanna e assoluzione. Finendo magari per mettere in discussione il modo in cui ciò accade"
E così, c'è il ragazzo geloso che, rubata la password della fidanzata, scopre che l'amante di lei le ha confidato un furto di biciclette: in questura, convinto di prendersi una facile vendetta, si ritrova invece a rispondere di violazione della privacy. “È colpevole - argomenta un detenuto - l’intimità altrui va rispettata”. “No, è solo un ragazzo innamorato” gli risponde un altro, ben più garantista; “e poi non ha rubato nulla, la password era in un cassetto di casa sua”. “Furto di identità” sentenzia infine il più pragmatico Burdino. Che aggiunge poi che l’altro furto, quello delle biciclette, “sarebbe tutto da dimostrare. E una conversazione spiata non rappresenta di certo una prova”. C’è poi la coppia di anziani che, in un negozio di telefonia, si trova davanti a un cellulare di ultima generazione a un prezzo sospettamente basso. “Basta accettare di comprarlo senza scontrino” dice loro il negoziante, che in magazzino ne ha un’intera partita rubata. E che da tempo è sorvegliato dalla Guardia di Finanza, che alla fine incrimina anche i due vecchietti. “Colpevoli, - dice uno degli studenti - si capiva benissimo che la provenienza fosse sospetta”. “Innocenti, - gli risponde un collega - sono solo due vecchietti, non potevano rendersene conto”. “Ricettazione” sentenzia di nuovo il procuratore, a ribadire che la legge non ammette ignoranza.
A ispirare lo spettacolo, una ricerca svolta nei mesi scorsi dai professori Sarzotti, Blengino e Mondino della cattedra di Sociologia giuridica dell’università di Torino. I quali, a due gruppi composti rispettivamente da cento detenuti e oltre trecento studenti, hanno sottoposto un questionario raffigurante una cinquantina di illeciti di varia natura: l’obiettivo era ricostruire come fosse vissuto il rapporto “con la legge, con le conseguenze sanzionatorie della sua violazione e con i diversi attori sociali coinvolti in un'azione penalmente rilevante”. Il risultato, secondo Claudio Montagna, “è un’idea ricorrente, che tende a identificare come reati soprattutto quei comportamenti ritenuti particolarmente gravi e che producono una vittima e un danno facilmente riconoscibili”. “Per cui,- chiarisce il regista - paradossalmente, un furto viene considerato più grave di un disastro ecologico, che nel tempo potrebbe produrre molte più vittime: c’è una chiara tendenza a tutelare maggiormente il singolo rispetto alla collettività”.
Proprio questi piccoli case studies hanno fornito la trama per le storie di illeciti rappresentate dalla compagnia “Teatro e Società”, fondata nel 1993 da Montagna con i detenuti del “Lorusso”. Ogni sera questi ultimi, assieme agli studenti, ne improvviseranno quattro. Nelle pause sceniche, su uno schermo alle loro spalle, scorreranno domande e risposte del questionario: c’è l’addetto alle prenotazioni in un ospedale che fa scavalcare la lista d’attesa alla zia gravemente malata; il ragazzo che, scoperto un distributore che sta regalando benzina, invita amici e conoscenti a servirsene; e addirittura gli hacker siriani che aggirano la censura informatica di stato per far circolare informazioni sugli abusi del regime. Proprio come auspicava il regista, alternativamente il pubblico pare oscillare tra sanzione, assoluzione e perfino approvazione; ad essere immutabile, in una condanna quasi perpetua, c’è solo il diritto, rappresentato dal magistrato Burdino.
Finché, dopo un alternarsi di storie, dita tese a condannare o palmi aperti ad assolvere, gli attori si fanno da parte e sullo schermo compare un ultimo, significativo, ammonimento: “ciò che chiamiamo giustizia è in realtà un complesso insieme di norme di carattere sociale e morale. Ciascuno si crea un suo codice formato da un patchwork di queste norme”. (ams)