2 dicembre 2013 ore: 13:56
Immigrazione

Cie, "come i campi di concentramento. I politici? Non ne sanno nulla”

Per la prima volta le telecamere sono entrate nei Centri di identificazione ed espulsione. Grazie a un'idea dei giornalisti Cosentino e Genovese da cui è nato il film "Eu013. L'ultima frontiera". Il regista: "I Cie sono il fallimento della nostra stessa integrazione”
Eu ultima frontiera - cie foto da video

CAPODARCO – Chiudere i Cie – Centri di identificazione ed espulsione per i migranti – in ragione della loro assurdità: una detenzione amministrativa inflitta a chi viene trovato senza documenti, senza aver commesso alcun reato, se non quello di “clandestinità”. E’ il grido lanciato da più parti  in Italia e in Europa – da associazioni, ong, giuristi, attivisti per i diritti umani - e riecheggiato nel corso del XX seminario di Redattore Sociale (“La sostanza e gli accidenti”), che si è concluso ieri alla Comunità di Capodarco di Fermo. L’occasione è stata l’anteprima assoluta per i giornalisti di “Eu013. L’ultima frontiera”, il documentario dei giornalisti Alessio Genovese e Raffaella Cosentino, primo reportage girato all’interno di alcuni Cie d’Italia: Ponte Galeria (Roma); Milo (Trapani); Bari.

boxUn viaggio che inizia al porto di Ancona, dove arrivano i migranti, si sposta nella sala d’attesa dell’aeroporto internazionale di Fiumicino, e nelle stanze dei funzionari di polizia preposti a vagliare chi ha i titoli per entrare in Italia oppure no, per poi entrare nelle “gabbie” dei migranti e dare a loro la parola.

L’obiettivo è far capire a chi guarda cosa significa vivere in un Cie per 18 mesi senza alcuna prospettiva, sognando un permesso di soggiorno che mai arriverà. Un “ergastolo bianco”, di cui nessuno parla e di cui si sa ben poco. Ne sanno poco anche i ministeri della Giustizia e dell’Interno, “che tra loro non dialogano”, spiega il regista Genovese. "Anzi, la nostra sensazione - ha aggiunto Raffaella Cosentino - è che il ministero dell'Interno ci abbia dato questa insperata autorizzazione a entrare nei Cie proprio perché a livello centrale e politico non si sa nulla di quello che succede al loro interno".

Gli autori sono così riusciti per primi a parlare con i cosiddetti “ospiti”, ma in reatà “reclusi” a tutti gli effetti. Perché il Cie è negazione di libertà, di diritti umani, di futuro. Il paradosso, mostrato nel documentario, è che al termine dei 18 mesi di detenzione, ai migranti viene dato un foglio di via che molto spesso di tramuta in una nuova detenzione, per altri 18 mesi. I reclusi nel film parlano di una situazione simile ai tempi di Hitler. “L’Europa di Schengen - ha detto nel dibattito Alessio Genovese -, nel tentativo condivisibile di garantire la libera circolazione, è riuscita di contro a ricreare i campi di concentramento. E questo è il fallimento della nostra stessa integrazione”.

La coautrice Raffaella Cosentino ha invece fatto un parallelo tra i Cie e i manicomi, una triste prossimità, che ancora di più dà forza alla posizione di chi questi Centri vorrebbe archiviarli dalla storia dello stato italiano. (ab)

© Riproduzione riservata Ricevi la Newsletter gratuita Home Page Scegli il tuo abbonamento Leggi le ultime news