5 maggio 2016 ore: 17:40
Giustizia

Cinevasioni, direttrice Dozza: “Difficile da organizzare, ma fa parte del nostro lavoro”

A pochi giorni dall’apertura del primo Festival del cinema in carcere, Claudia Clementi parla dell’importanza di questa iniziativa. “Il cinema è parte del progetto trattamentale per tutte le persone che sono ospitate qui”. In aumento le presenze in carcere (750), tanti i progetti di lavoro
Immagine tratta dal backstage della sigla
Cinevasioni backstage sigla LaSfida

BOLOGNA – “Questo festival è un’operazione importante, un motivo di orgoglio e anche di tanti pensieri”. A parlare è Claudia Clementi, direttrice della Casa circondariale di Bologna e il festival di cui parla è ovviamente “Cinevasioni”, il primo Festival del cinema in carcere che si terrà alla Dozza dal 9 al 14 maggio. “È la prima iniziativa del genere, ma a noi non interessa il primato vogliamo solo continuare a offrire possibilità ad ampio spettro a chi è ospitato qui – aggiunge – Il cinema fa parte del progetto trattamentale che cerchiamo di offrire loro”. Il festival, infatti, è il momento conclusivo di un percorso iniziato a ottobre con il laboratorio “CiakinCarcere” che, ogni martedì, ha visto una ventina di detenuti confrontarsi con storia del cinema, film, documentari e critica. La prossima settimana quei detenuti si trasformeranno in giurati per la settimana del Festival. “Il corso e il festival sono alcuni degli interventi con cui cerchiamo di dare suggestioni alle persone che sono qui ospitate – spiega Clementi –, per suggerire loro prospettive di vita che fino a quel momento non hanno avuto, far intravvedere loro qualcosa che non hanno mai visto”.

È un’esperienza che funziona molto bene in campo artistico e il cinema non è la sola arte che i detenuti possono sperimentare, alla Dozza è presente anche un coro, un gruppo di teatro e i cineforum tenuti dai volontari in cui i film sono visti sul computer. “Ai detenuti viene tolta la libertà ma non tutto il resto – dice la direttrice – Il talento, la passione, i desideri sono qualcosa che nessun essere umano può togliere a un altro essere umano. E ci sono persone che non sapevano di poter essere attori o di poter cantare e hanno scoperto qui la loro vocazione”. Tra i prossimi progetti c’è quello di realizzare un corso sui mestieri del cinema. 

Grande appassionata di cinema, “quelli in concorso al Festival li ho visti quasi tutti”, Claudia Clementi sottolinea però come organizzare un festival in carcere non sia un’operazione semplice: far entrare centinaia di persone (sono circa 150 quelle che assisteranno alle proiezioni, tra detenuti, studenti e cittadini) e permettere ai detenuti di andare nella sala cinema senza fermare tutte le altre attività, “è complicatissimo – ammette Clementi – ma le sfide ci piacciono e abbiamo affrontato anche questa”. Per far sì che il maggior numero di detenuti possa partecipare al festival (ci sono due proiezioni, una al mattino e una al pomeriggio e poi le conferenze stampa con registi, distributori, ecc.), la direzione ha stilato un calendario, “a ogni proiezione parteciperà una sezione del carcere ma sempre su base volontaria”. I 12 film scelti sono tutti in lingua italiana e in carcere ci sono provenienze geografiche diverse, come ovviare a questa situazione? “Ci è venuto in mente che non abbiamo pensato ai sottotitoli – spiega la direttrice – Qui c’è una sorta di esperanto e le persone riescono a capirsi e comunicare nella loro quotidianità ma capire un film è una cosa diversa. Il cinema però ha una valenza universale, speriamo che le persone riescano a seguirli ugualmente”. 

“Ognuno dovrebbe cercare di affrontare con coraggio la propria vita, ma io non mi sento coraggiosa in questo. Non faccio nulla di straordinario rispetto al mio lavoro”. Claudia Clementi risponde così a chi le chiede se si sente “una direttrice coraggiosa” a portare un Festival del cinema dentro un carcere. “La Costituzione e l’Ordinamento italiano ci dicono che possiamo fare certe cose, sta a noi decidere come – aggiunge – La cultura è uno degli strumenti del trattamento, è uno strumento di lavoro che ognuno può interpretare in modo diverso. Questo festival è stato difficile da organizzare ed è anche rischioso ma fa parte del nostro lavoro”. E risponde positivamente alla possibilità di esportare l’esperienza in altre carceri: “Il carcere non è mai uguale a se stesso – dice – Io credo non sia lontano dalla liquidità di cui parla Bauman perché ci sono tante variabili e la fotografia che possiamo scattare oggi sarebbe senz’altro diversa da quella di domani. In ogni carcere si organizzano cose diverse, quindi penso che possa essere replicabile”.  

Oggi la Dozza accoglie circa 750 detenuti (circa 480 la capienza regolamentare). “Sono molti – ammette Clementi – Il trend è in risalita, anche a livello nazionale”. Clementi parla poi di “miglioramento” rispetto al lavoro, in genere nota dolente delle carceri. “L’officina ‘Fare impresa in Dozza’ e la sartoria ‘Gomito a gomito’ vanno alla grande – dice – La prima si sta espandendo sia fisicamente che diversificando le attività, la seconda ha tantissimo lavoro”. In più, dopo l’estate aprirà la serra “Semi di libertà” per la produzione di piante biologiche grazie alla collaborazione tra Comune, Università, Casa circondariale Dozza, Cefal, Centro Poggeschi, associazione Streccapugn e cooperativa sociale Pictor e, a breve, “apriremo un caseificio per produrre latticini – conclude Clementi – Noi possiamo assumere i detenuti per i lavori interni ma è importante che ci siano aziende esterne a sostenere attività come questa”. (lp)

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